KiteGen e la bottega tecnologica
Scritto da Mario Marchitti
Il progetto KiteGen presenta innumerevoli innovazioni e sfide tecnologiche che potrebbero generare nuove attività industriali (spin off in gergo); molti di queste meriterebbero di essere sostenute indipendentemente dalla funzione che svolgeranno nell’ambito del progetto. Il KiteGen mira a sfruttare i venti di alta quota attraverso vele/aquiloni/profili alari opportunamente vincolati e comandati da terra: una soluzione che, sebbene non introduce alcuna novità scientifica, necessita l’impiego di tecnologie e ritrovati che si pongono alla frontiera nel campo della ricerca applicata. Il gruppo e il luogo di lavoro dove attualmente si sviluppa il progetto può essere visto come una sorta di bottega tecnologica, dove chi ha ambizioni e interessi potrebbe trovare un fertile terreno per sviluppare e maturare professionalità di alto livello. Magari all’inizio si dovrà accontentare di una scarsa o nulla remunerazione, perché il progetto non gode di un adeguato sostegno, né da parte della grande industria, né da parte degli enti governativi, ma il guadagno come bagaglio di esperienza e conoscenze tecniche è sicuramente elevato, e in questa ottica l’impegno è sicuramente pagante, soprattutto per un giovane che si affaccia nel mondo della tecnologia e dell’industria.
Supercondensatori, nuovi cavi, nuovi profili alari, sensori e tecniche di controllo sono fra le tecnologie più importanti applicate al KiteGen:
- Il KiteGen non sarebbe concepibile senza la disponibilità di cavi in polimeri (Dyneema, Vectran) che sono più leggeri (circa la densità dell’acqua) dei cavi in acciaio e circa dieci volte più resistenti a parità di sezione; questi cavi trovano sempre maggiori applicazioni, così come è avvenuto per la fibra di carbonio nella realizzazioni delle parti strutturali dei velivoli, ma anche nel settore del trasporto terrestre. Comunque i limiti di impiego di questi cavi devono essere studiati ed esplorati, soprattutto per quanto concerne le adeguate protezioni e limiti di impiego riguardo all’usura. Si stanno anche studiando e valutando innovative caratteristiche aerodinamiche del cavo, per poterlo opportunamente sagomare per ridurre ancora più drasticamente la resistenza aerodinamica, soprattutto nella parte terminale, vicino al kite, dove le velocità sono maggiori.
- Il controllo è indubbiamente la parte più importante, più difficile e più ambiziosa del progetto, soprattutto nella fase riguardante il decollo del kite, perché in questa fase il kite ha una corsa limitata nello spazio, inoltre la sua velocità è minima o nulla. Ci si trova nella stessa situazione di chi va in bicicletta, dove l’equilibrio in partenza è precario e difficile da controllare. Il comando del kite viene effettuato principalmente azionando i cavi in modo differenziale, ma si prevede comunque di potenziare le manovre, soprattutto a bassa velocità, con due turbinette alle estremità dell’aquilone che forniscono un momento imbardante (che può essere assimilato alla funzione del piano verticale di coda degli aerei, che però è efficiente alle alte velocità. In effetti per migliorare la manovrabilità degli aerei di recente ci sono proposte per orientare la spinta del getto, con ugelli mobili). Il “motore” del controllo è lo stesso generatore, la cui azione deve essere modulata adeguatamente, sia come controllo passivo (aumentando o diminuendo il carico) sia come controllo attivo agendo in modo differenziale sui cavi. Il controllo con estrema precisione e rapidità effettuata con motori molto potenti, nell’ordine delle centinaia di kW, sono operazioni particolarmente impegnative dal punto di vista tecnologico.
- Fino a pochi anni fa la capacità dei condensatori difficilmente arrivava al Farad, mentre oggi sono già in commercio, a prezzi accessibili, condensatori con una capacità di oltre il migliaio di Farad. L’incredibile aumento di capacità consente di concepire il supercondensatore come buffer di energia, con diversi scopi nell’ambito del progetto KiteGen: per livellare l’erogazione dell’energia alla rete in quanto il KiteGen Stem singolo funziona alternativamente, con una fase attiva e una più breve passiva; e per fornire appunto l’energia necessaria al riavvolgimento dei cavi nella fase passiva. Fuori dall’ambito del KiteGen la tecnologia dei supercondensatori ha trovato applicazione come sistema di assistenza e recupero energetico (Power Hibrid Regenerator) e nel concetto di K-Bus a ricarica veloce (biberonaggio) L’elettonica di potenza per gestire l’uscita dei generatori ad alta frequenza con operazioni di raddrizzamento e successivamente di conversione in alternata adeguata alla rete è un ulteriore importante impegno tecnologico.
-Il Kite, l’aquilone, la vela, o il profilo alare fin’ora utilizzati per i test sono stati reperiti sul mercato, che li produce per attività sportive e già anche per applicazioni industriali come SkySail. Sono realizzati con tessuti sintetici ad alta resistenza. Il loro rapporto portanza/resistenza non è molto alto: non si riesce ancora ad arrivare a un valore di 10, mentre gli alianti, che utilizzano ali rigide, presentano efficienze fino a 50. Una maggiore efficienza consente, a parità di potenza erogata, di ridurre la superficie del kite, quindi di migliorare la controllabilità del kite e di ridurre la sua sensibilità alle raffiche. L’ala rigida però non consente la manovra di scivolata d’ala o di messa in bandiera, per potere riportare l’aquilone a bassa quota e ricominciare il ciclo di produzione. La soluzione che ora viene studiata è l’ala bimodale, rigida in corda per ottenere un’alta efficienza, e flessibile in apertura per permettere le manovre di recupero. L’ala bimodale (con sezioni o cassonetti in carbonio uniti da elastomeri) è in fase di progetto, e un adeguato supporto esterno da parte di laboratori con gallerie del vento sarebbe benvenuto.
- Come per gli aerei anche per il progetto KiteGen c’è la necessità di monitorare istantaneamente gli assetti (angoli e posizioni) le velocità e le accelerazioni. Nel caso del kite però non ci si può servire delle costose e pesanti piattaforme inerziali (i giroscopi) comunemente usate per gli aeromobili, ma ci si deve servire di sensori leggeri, poco ingombranti e con basso assorbimento di potenza elettrica. Attualmente questa sensoristica, cosiddetta strap down, è costituita da accelerometri, girometri e magnetometri. I loro segnali devono essere opportunamente combinati con sosfisticate tecniche matematiche, che in parte erano già presenti nel sensore SeTAC precedentemente sviluppato.
Posso ripubblicare il testo altrove (su un newsgroup) mettendo il link a questo articolo?
Caro Sandro,
Grazie per i link che vorrai postare.
Silvio Ceccato , a conclusione del libro “La mente vista da un Cibernetico”, scriveva:
“Una terza ragione per dare il via alla costruzione del modello può sembrare a prima vista più superficiale e marginale, ma ha una importanza innegabile sotto il profilo organizzativo e didattico. Intanto, il modello chiama a collaborare su una base tecnica, cioè controllabile, specialisti di varie provenienze; il solo inizio della costruzione trova poi una grande risonanza, e comunque in una misura che nessuna pubblicazione accademica potrebbe raggiungere, aprendo così la strada alle offerte di collaborazione. Bisogna ricordare che una ricerca scientifico-tecnica di questo genere richiede qualità che raramente si trovano insieme: l’audacia e la pazienza, l’originalità ed il senso collaborativo. La curiosità, l’amore per le novità non bastano. Se non si promuove una mobilitazione su alta scala con successiva selezione dei potenziali ricercatori, possono trascorrere anni prima che si incontri la persona veramente adatta ad uno o l’altro dei vari settori del lavoro. L’esperienza me l’ha confermato. La parola scritta, l’articolo, il libro, il trattato, da soli sembrano destinati a rimanere lettera morta, anche perché, come aveva osservato un noto fisico italiano, dopo i venticinque anni è più facile scrivere un libro che leggerlo.”
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