Category: KiteGen

OPEN DAY KiteGen

Domenica 13 maggio 2012 si terrà il Primo OPEN DAY Kitegen organizzato in collaborazione con SOTER, Società per la Transizione alle Energie Rinnovabili.
SOTER srl nasce nel 2011 unicamente per supportare il progetto Kitegen e riunisce già numerosi soci che stanno dando supporto economico e professionale.

La giornata OPEN DAY consentirà a tutti coloro che sono interessati a supportare il progetto Kitegen, o anche solo a saperne di più, di poter conoscere lo stato dell’arte e toccare con mano la tecnologia grazie ad una visita al test plant dove i progettisti risponderanno anche alle domande ed alle curiosità dei visitatori. L’invito è rivolto in particolare a tutti coloro che, di fronte all’emergenza energetica, al riscaldamento globale e alla crisi economica, sentono il valore modiale e l’importanza per l’ambiente e per il mondo della transizione alle energie rinnovabili e sono disposti a farsene carico personalmente.

Vi attendiamo per l’OPEN DAY, l’incontro si terrà nella sola mattinata con l’eventuale possibilità di proseguire l’incontro dalle 13 in poi A PRANZO per chi non farà rientro immediato nella propria sede. qui sotto trovate il programma dettagliato dell’evento.

Ore 9.15/9.30 Inizio presentazione progetto in sede a Chieri (TO) Via XXV Aprile 8

Ore 10.30/11 Termine presentazione

40’ di trasferimento per recarsi sul sito del test plant

Ore 11.00/11.30 Visita al sito. Domande/risposte

Ore 13.00 Termine visita e proseguimento libero

Per ulteriori informazioni

011 9415745

348 0194810

Compasso

Scritto da Igor Sabetti

progettista elettromeccanico del team KiteGen

L’ultimo componente del kitegen stem realizzato è il cosiddetto compasso,  una “mano” robotica che ha la funzione di tenere divaricati i cavi che controllano la vela, facilitando le manovre di decollo e rientro.

Per comprendere la funzionalità del “compasso” dobbiamo fare un passo indietro e capire il funzionamento del kitesurf e/o kiteboarding.

Il kitesurfing (o kitesurf o kiteboarding) è uno sport acquatico, di recente invenzione (1999), nato come variante del surf; consiste nel farsi trascinare da un aquilone ( “kite” in inglese), che usa la potenza del vento come propulsore e che viene manovrato attraverso una “barra di controllo” (boma), collegata al kite da sottili cavi (due o quattro) di dyneema o spectra detti “linee” e lunghi tra i 22 e i 27 m. Il kitesurfing richiede inoltre l’utilizzo di una tavola per solcare il mare. (Tratto da Wikipedia)

Il “compasso”, soprannominato così perché le due lunghe antenne che si aprono e chiudono ricordano la forma del compasso da disegno tecnico, emula il movimento delle due braccia umane per richiamare le funi di manovra. Le due funi nella foto verso il bordo d’attacco (leading edge) sono quelle di potenza mentre quelle posteriori sono per la frenata che in gergo si chiama depowering. Nel sistema KiteGen non sono presenti le funi di depowering poichè il ciclo di funzionamento prevede una fase attiva in cui il kite raggiunge la massima quota operativa compiendo delle evoluzioni a forma di otto rovesciato, ed una fase passiva in cui ritirando un solo cavo la vela assume un assetto “a bandiera” e ritorna alla quota minima con il minimo dispendio energetico per ricominciare poi il ciclo. Per maggiori dettagli sul ciclo di produzione è consigliabile visionare il filmato qui sotto, in cui la manovra di scivolata appare al minuto 2.

La barra di manovra può essere unita, nel caso di kite per trazione con le due funi di controllo fissate agli estremi mentre la terza linea di traino l’attraversa al centro per mezzo di un foro, come separata per piccoli kite.

In linea di massima, similmente alla bicicletta, tirando la fune destra per mezzo della barra il kite va a destra e viceversa.
In questo link è spiegata bene la funzione della barra di controllo:

Il compasso è un elemento fondamentale per manovrare il kite in fase di decollo ed atterraggio. Successivamente la sua presenza diventa impercettibile.
In assenza del compasso, quando il kite è appeso, in fase iniziale tende a compiere diversi twist (ovvero le funi si attorcigliano) rendendo impraticabile la manovra di decollo.

Ognuna delle antenne in Kevlar/carbonio con anelli passanti in ceramica, è sensorizzata su 2 assi ovvero per il tiro della fune che l’attraversa sia in verticale che orizzontale.
Due motori posti alla base dello stem governano le leve di azionamento delle antenne per mezzo di lunghi bowden (simili alle funi in acciaio e guaina dei freni di bibicletta) di tipo push-pull governati dal software.

Dato che è impossibile riuscire a opporsi alla forza del vento senza danneggiare gli organi meccanici questi ultimi assecondano la “volontà” del vento posizionandosi linearmente al tiro della fune oltre un certo range di potenza. Il sistema in fase di test preliminare è visibile nel video allegato.

In fase di atterraggio il sistema divarica nuovamente le antenne agevolando la stabilità del kite.

In fase di decollo il compasso rimane aperto incoraggiando l’aria ad incanalarsi nel kite e successivamente si chiude con estrema velocità. Se il vento non è eccessivo il presidio software può lasciare mezze aperte le antenne o una aperta ed una chiusa.

Similarmente alle braccia oltre che determinare/rilevare la posizione del kite può aiutare con degli impulsi al sollevamento dello stesso. Per esperienza personale posso dire che chiudendo gli occhi per qualche secondo sono riuscito a far compiere degli “8” rovesciati al kite solo sentendo la forza applicata alle funi. Allo stesso modo i recettori tattili delle antenne si comportano come le “vibrisse” dei gatti.

Il compasso che vedete in queste immagini ha avuto una progettazione abbastanza controversa essendo giunto ormai alla 5° versione le cui prestazioni sono finalmente accettabili.   Nel corso dei test una serie di idee e soluzioni tecniche è stata via via scartata avvicinandosi sempre più allo strumento idealizzato da M. Ippolito e riprodotto nell’ormai celebre modellino presentato in varie occasioni.

KiteGen e la bottega tecnologica

Scritto da Mario Marchitti
Il progetto KiteGen presenta innumerevoli innovazioni e sfide tecnologiche che potrebbero generare nuove attività industriali (spin off in gergo); molti di queste meriterebbero di essere sostenute indipendentemente dalla funzione che svolgeranno nell’ambito del progetto. Il KiteGen mira a sfruttare i venti di alta quota attraverso vele/aquiloni/profili alari opportunamente vincolati e comandati da terra: una soluzione che, sebbene non introduce alcuna novità scientifica, necessita l’impiego di tecnologie e ritrovati che si pongono alla frontiera nel campo della ricerca applicata. Il gruppo e il luogo di lavoro dove attualmente si sviluppa il progetto può essere visto come una sorta di bottega tecnologica, dove chi ha ambizioni e interessi potrebbe trovare un fertile terreno per sviluppare e maturare professionalità di alto livello. Magari all’inizio si dovrà accontentare di una scarsa o nulla remunerazione, perché il progetto non gode di un adeguato sostegno, né da parte della grande industria, né da parte degli enti governativi, ma il guadagno come bagaglio di esperienza e conoscenze tecniche è sicuramente elevato, e in questa ottica l’impegno è sicuramente pagante, soprattutto per un giovane che si affaccia nel mondo della tecnologia e dell’industria.
Supercondensatori, nuovi cavi, nuovi profili alari, sensori e tecniche di controllo sono fra le tecnologie più importanti applicate al KiteGen:
- Il KiteGen non sarebbe concepibile senza la disponibilità di cavi in polimeri (Dyneema, Vectran) che  sono  più leggeri (circa la densità dell’acqua)  dei cavi in acciaio e circa dieci volte più resistenti a parità di sezione; questi cavi trovano sempre maggiori applicazioni, così come è avvenuto per la fibra di carbonio nella realizzazioni delle parti strutturali dei velivoli, ma anche nel settore del trasporto terrestre.  Comunque i limiti di impiego di questi cavi devono essere studiati ed esplorati, soprattutto per quanto concerne le adeguate protezioni e limiti di impiego riguardo all’usura. Si stanno anche studiando e valutando innovative caratteristiche aerodinamiche del cavo, per poterlo opportunamente sagomare per ridurre ancora più drasticamente la resistenza aerodinamica, soprattutto nella parte terminale, vicino al kite, dove le  velocità sono maggiori.
- Il controllo è indubbiamente la parte più importante, più difficile e più ambiziosa del progetto, soprattutto nella fase riguardante il decollo del kite, perché in questa fase il kite ha una corsa limitata nello spazio, inoltre  la sua velocità è minima o nulla. Ci si trova nella stessa situazione di chi va in bicicletta, dove l’equilibrio in partenza è precario e difficile da controllare. Il comando del kite viene effettuato principalmente azionando i cavi in modo differenziale, ma si prevede comunque di potenziare le manovre, soprattutto a bassa velocità, con due turbinette alle estremità dell’aquilone che forniscono un momento imbardante (che può essere assimilato alla funzione del piano verticale di coda degli aerei, che però è efficiente alle alte velocità. In effetti per migliorare la manovrabilità degli aerei di recente ci sono proposte per orientare la spinta del getto, con ugelli mobili). Il “motore” del controllo è lo stesso generatore, la cui azione deve essere modulata adeguatamente, sia come controllo passivo (aumentando o diminuendo il carico) sia come controllo attivo agendo in modo differenziale sui cavi. Il controllo con estrema precisione e rapidità effettuata con motori molto potenti, nell’ordine delle centinaia di kW, sono operazioni particolarmente impegnative dal punto di vista tecnologico.
- Fino a pochi anni fa la capacità dei condensatori difficilmente arrivava al Farad, mentre oggi sono già in commercio, a prezzi accessibili, condensatori con una capacità di oltre il migliaio di Farad. L’incredibile aumento di capacità consente di concepire il supercondensatore come buffer di energia, con diversi scopi nell’ambito del progetto KiteGen: per livellare l’erogazione dell’energia alla rete in quanto il KiteGen Stem singolo funziona alternativamente, con una fase attiva e una più breve passiva; e per fornire appunto l’energia necessaria al riavvolgimento dei cavi nella fase passiva. Fuori dall’ambito del KiteGen la tecnologia dei supercondensatori ha trovato applicazione come sistema di assistenza e recupero energetico (Power Hibrid Regenerator) e nel concetto di K-Bus a ricarica veloce (biberonaggio) L’elettonica di potenza per gestire l’uscita dei generatori ad alta frequenza con operazioni di raddrizzamento e successivamente di conversione in alternata adeguata alla rete è un ulteriore importante impegno tecnologico.
-Il Kite, l’aquilone, la vela, o il  profilo alare fin’ora utilizzati per i test sono stati reperiti sul mercato, che li produce per attività sportive e già anche per applicazioni industriali come SkySail. Sono realizzati con tessuti sintetici ad alta resistenza. Il loro rapporto portanza/resistenza non è molto alto: non si riesce ancora ad arrivare a un valore di 10, mentre gli alianti, che utilizzano ali rigide, presentano efficienze fino a 50. Una maggiore efficienza consente, a parità di potenza erogata, di ridurre la superficie del kite, quindi di migliorare la controllabilità del kite e di ridurre la sua sensibilità alle raffiche. L’ala rigida però non consente la manovra di scivolata d’ala o di messa in bandiera, per potere riportare l’aquilone a bassa quota e ricominciare il ciclo di produzione. La soluzione che ora viene studiata è l’ala bimodale, rigida in corda per ottenere un’alta efficienza, e flessibile in apertura per permettere le manovre di recupero. L’ala bimodale (con sezioni o cassonetti in carbonio uniti da elastomeri)  è in fase di progetto, e un adeguato supporto esterno da parte di laboratori con gallerie del vento sarebbe benvenuto.
- Come per gli aerei anche per il progetto KiteGen c’è la necessità di monitorare istantaneamente gli assetti (angoli e posizioni) le velocità e le accelerazioni. Nel caso del kite però non ci si può servire delle costose e pesanti piattaforme inerziali (i giroscopi) comunemente usate per gli aeromobili, ma ci si deve servire di sensori leggeri, poco ingombranti e con basso assorbimento di potenza elettrica. Attualmente questa sensoristica, cosiddetta strap down, è costituita da accelerometri, girometri e magnetometri. I loro segnali devono essere opportunamente combinati con sosfisticate tecniche matematiche, che in parte erano già presenti nel sensore SeTAC precedentemente sviluppato.

Test

Kite Steering Unit 1 durante i test
Di Andrea Papini
Molti lettori ci chiedono qualche dettaglio in più sui test eseguiti.  Iniziamo per ordine ed illustriamo i risultati che furono ottenuti dal primo prototipo, in seguito sarà più chiaro in successivi post il lavoro che stiamo svolgendo adesso.   I test necessariamente seguono ad ogni fase di progettazione, in particolare per una macchina innovativa e mai fino ad ora concepita ad un tale livello di dettaglio.   I test di validazione della tecnologia KiteGen sono iniziati fin dal 2006, quando un primo prototipo denominato Kite Steering Unit 1 o in breve KSU1 ha dimostrato fondamentalmente che è possibile produrre energia dai venti d’alta quota (fu raggiunta l’altezza di 800 m AGL ovvero sul livello di campagna) con un ciclo YO-YO ovvero costituito da:
  • una fase attiva in cui il kite srotola i cavi azionando gli alternomotori in modalità alternatore e producendo energia fino a raggiungere una quota massima
  • un ciclo passivo in cui gli alternomotori agiscono da motori e riportano il kite alla quota minima di operatività consumando una frazione inferiore al 5% dell’energia prodotta nella fase attiva, per poi ricominciare.
I “test” comprendevano quelle che, in parole povere, vengono chiamate “ore di volo”. In termini leggermente più tecnici le “ore di volo” possono essere classificate in diversi tipi di “test di manovre di volo”. Ad esempio: “test di decollo”, “di produzione di potenza elettrica”, “di sicurezza in caso di raffica”; “di passaggio alla scivolata d’ala”, “di scivolata d’ala” ecc. I test comprendono anche alcune operazioni a terra per cambiare il set-up dell’ala, i cavi e alcune variabili della KSU.
Vorrei anche rimarcare che i test sulla KSU sono stati di tipo booleano ossia si sono focalizzati sulla ripetizione e l’ottimizzazione di ogni singola manovra. Per quanto siano stati eseguiti anche dei test sull’intero “ciclo yo-yo” (che è l’unione delle varie manovre) questi non erano l’oggetto principale dello studio perché prima di testare un sistema complesso, è buona prassi testare i moduli del quale è composto. I risultati dei test booleani hanno dimostrato l’effettiva potenzialità produttiva di energia elettrica (grande successo del modulo “manovre per la produzione di potenza elettrica” ), ma hanno anche evidenziato che il prototipo KSU era inadeguato ad eseguire i test di ciclo yo-yo, per due motivi principali:
  • l’impossibilità di gestire in sicurezza il kite in caso di forti raffiche di vento (problemi nel modulo “manovre per sicurezza in caso di raffica”);
  • l’impossibilità di disperdere il calore accumulato nelle pulegge del KSU.
A quel punto era necessario riprogettare il generatore in modo che risolvesse quei problemi. Visto che le potenzialità produttive erano state dimostrate con successo, per accorciare i tempi (time to market) è stato scelto di puntare direttamente ad un prototipo preindustriale. Quindi:
  • è stata progettata una nuova struttura ad igloo ed uno stem per ammortizzare meccanicamente quelle raffiche che non era possibile gestire elettronicamente;
  • è stato modificato e ridimensionato il sistema di tamburi e pulegge con un sistema di raffreddamento.
E’ nato quindi il “KiteGen Stem”, con il quale è ora possibile:
  • testare le “manovre in sicurezza in caso di raffica” con l’ausilio dello stem;
  • verificare che il sistema di raffreddamento sia efficace (è stato abbondantemente sovradimensionato in fase progettuale);
  • testare il nuovo “modulo di decollo automatico” (test attualmente in corso);
  • solo a questo punto, quando dopo che ogni modulo è stato validato sul generatore preindustriale, si passerà a concentrarsi sui test del ciclo yo-yo in modalità continuativa.

Tradotto in “parole povere” significa che i test sul ciclo inizieranno quando sarà già stato verificato che il KiteGen Stem è perfettamente funzionante (e per di più è già un modello industriale). Questi test finali serviranno esclusivamente per ottimizzare la producibilità e raffinare il sistema nel suo complesso.

Carbo-Kite

Di Marco Ghivarello

Progettista CAD KiteGen [nonchè pilota entusiasta di alianti, paramotori e qualunque altra cosa che abbia una lontana probabilità di volare, NdR]

Da Gennaio 2012 è iniziata la costruzione della nuova ala semirigida in fibra di carbonio il cui obiettivo  è di incrementare le prestazioni delle attuali vele da kite con cui saranno effettuate peraltro le prime prove.

Gli effetti di un incremento della efficienza a parità di peso sono esponenzialmente crescenti, aumenta la velocità massima e la forbice rispetto alla minima, con una W min. verticale di sostentamento che sarà inferiore, consentendo un incremento delle ore / anno di produzione energetica ed una migliore gestibilità dei carichi di raffica dovuti alla minore superficie alare.

La grande sfida – peraltro non così apparentemente fattibile a chi opera unicamente nel settore dell’aviazione convenzionale – è riuscire a creare un ala in grado di tenere enormi sollecitazioni, ma con una leggerezza quasi paragonabile a quello di un parapendio, ed al contempo semi-rigida con concetti assimilabili alle ali di aliante (noi abbiamo il vantaggio di non presentare superfici parassite quali fusoliera ed impennaggi e non vincolarci ai profili che abbiano gli spessori % necessari ad alloggiare convenzionali longheroni) e in grado di flettersi al fine di realizzare la manovra di “side sleep”, fondamentale per il recupero della stessa.

Con questo preliminare prototipo abbiamo pertanto definito una nuova tecnologia  realizzativa che unisse i due mondi, quello delle ali convenzionali e quello delle ali flessibili (parapendio-kite surf), e abbiamo un programma di test molto fitto, ove si sperimenteranno flessibilità, carichi, tenuta a trazione, telemetria prestazioni, affinamenti aerodinamici, sistemi automatici di variazione d’assetto, a seguire affidabilità delle tecnologie utilizzate, ecc. ecc.. Con i successivi prototipi si lavorerà sull’efficienza attraverso lo studio di configurazioni più estreme, rese possibili da un pilotaggio attivo gestito dal controllo predittivo del KiteGen.

Rischi e sicurezza

By admin, 2012/03/02

Pubblichiamo volentieri un ragionamento di “risk assessment” sul KiteGen

di Stefano Cianchetta

Kitegen è una tecnologia nuova ed è prioritario che dimostri di poter essere impiegata con un adeguato livello di sicurezza. E’ abbastanza facile che il nostro giudizio sia guidato da valutazioni approssimative sui pericoli e i rischi effettivi. In rete e nei blog ho letto, tra i commenti, descrizioni di incidenti veramente improbabili o addirittura assurdi. Qui ho provato ad affrontare di petto la questione ed immaginare realisticamente gli incidenti peggiori i livelli di rischio e le strategie di riduzione degli stessi. Ho provato a suddividere gli incidenti possibili in due macrocategorie: urti in volo con aeromobili e urti al suolo.

Urti in volo con velivoli come piccoli aerei o elicotteri che volano a quote relativamente basse.

Difficilmente un velivolo potrebbe restare indenne dall’urto con un cavo in dyneema di 20-30mm,

ed è molto difficile immaginare un modo per ridurre la pericolosità di un tale impatto. Bisogna quindi comprimere drasticamente la probabilità che questo evento si verifichi. Si può operare principalmente in 2 modi: 1) allontanandosi dai corridoi aerei frequentati dai circa 2700 piccoli e medi aeromobili italiani e 2) imponendo delle zone di divieto di sorvolo (che possono essere permanenti come quelle intorno alle grandi raffinerie o provvisorie come in questo curioso caso). Per ridurre ulteriormente il rischio di collisione una futura stem-farm potrebbe utilizzare un sistema autonomo capace di rilevare aerei nel raggio di 10-20 km e quindi comandare il rientro dei kite.

Riavvolgendo i cavi a 25m/s possono bastare 50 secondi per ritirare i kite da 800 metri di quota. In quel lasso di tempo un velivolo a 250 km/h percorre meno di 4km (250km/h è la velocità di crociera di un piccolo Cessna). Di conseguenza c’è tutto il tempo necessario al rientro dei kite.

Infine si potrebbe segnalare la presenza dei kite con colori sgargianti o segnali luminosi.

Se malauguratamente il sistema radar fosse in avaria e un piccolo aereo (20m wingspan) uscisse fuori rotta e violasse la no-fly zone di uno stem (1500m di raggio) ci sarebbero ancora circa 98 probabilità su 100 di scampare un incidente. Meno nel caso di una grossa farm. Per fortuna però i radar sono in commercio da parecchi anni, possiamo prevederne prestazioni ed affidabilità e soprattutto possiamo evitare di far volare i kite quando il sistema radar è in avaria!

Urti al suolo con persone o cose

Alcuni potrebbero temere di essere colpiti da un kite in caduta libera. Nello scenario peggiore che riesco ad ipotizzare i sistemi a terra vanno in totale avaria e il kite si affloscia al suolo. La probabilità di arrecare danni gravi a persone o cose dipende dalla velocità di caduta dell’oggetto e dalla sua rigidità. Più il kite è flessibile minore sarà il danno. Ma quanto velocemente potrebbe precipitare partendo da 1000m? Un corpo precipitando dall’alto accelera progressivamente fino a raggiungere, a causa della resistenza opposta dall’aria, una velocità limite VL. Questa velocità dipende dalla densità superficiale del corpo in caduta . Anche per un grosso kite da 300kg e 300m^2, VL è pari a solo 6-7m/s pur ipotizzando che il il kite si ripieghi e riduca la sua superficie del 50-70%.

Insomma urtarlo sarebbe come correre a 25km/h e andare a sbattere contro il sipario di un teatro o una trapunta stesa ad asciugare. La stessa velocità di caduta è ipotizzabile per i cavi che sono vincolati e frenati dal kite. In questo caso sarebbe come andare a sbattere correndo contro un tubo per innaffiare che penzola da un ramo alto di un albero. Ci si può anche fare molto male e sarà necessaria un’adeguata copertura assicurativa ma credo sia più rischioso cadere da un motorino o essere investiti da una bici.

Anche se ci si trova all’aperto entro l’area interessata dalla caduta del kite (raggio di 1500m) al momento dell’avaria totale la probabilità di essere colpiti in caso di caduta del kite è fortunatamente piuttosto piccola. Questa probabilità infatti è proporzionale all’area del kite ed è inversamente proporzionale all’area complessiva intorno allo stem: quindi se l’area del kite è 300m^2, allora la probabilità di un urto con una persona è circa 300/(1500*1500*3.14) ossia pari a 1 su 23000. I due cavi interessano un’area superiore pari a circa 2*0.6m*1500m ossia 1800m^2 e quindi una probabilità di 1 su 4000 (0,6m è il diametro occupato da una persona). Il rischio naturalmente si annulla se invece che in un punto a caso la persona si trova sopravento al momento dell’avaria totale e raddoppia sottovento. Se ci si trova dentro un edificio ovviamente si rischia ben poco. Per limitare questi rischi si può prevedere che i primi stem vengano posizionati in zone scarsamente antropizzate***. Per fortuna grazie al fatto che la popolazione non è uniformemente distribuita è facile trovare zone con meno di 5 edifici rurali/Km^2 praticamente in ogni provincia italiana. Persino in provincia di Milano!

Per concludere, a Sommariva dove vengono effettuate le prime esperienze con lo stem kitegen, si vola tipicamente entro i 500 metri. L’area potenzialmente interessata è ridotta e non ci sono residenti nella zona. Quindi, con le dovute cautele suggerite da buone pratiche di gestione del rischio… caschetto in cantiere e avanti con le prove!

***se per paradosso queste grandi avarie fossero esageratamente frequenti e il kite precipitasse una volta all’anno per i prossimi 10 anni di fila (il che sarebbe inaccettabile per un impianto industriale), con 25 persone mediamente presenti all’aperto nel raggio di 1500m in zona poco antropizzata, avremmo ancora (1-25*1/4000)^10 = 94% di probabilità di evitare urti nel periodo considerato! Ma 10 avarie totali sono davvero troppe e il team kitegen presumibilmente cambierebbe strategia prima.

Navi a vela e Navi-Aquilone

di Antonio  Zecca
Dipartimento di Fisica
Università di Trento    zecca@science.unitn.it

Ci sono scommesse che è facile vincere. Una di queste è che la propulsione a vela tornerà ad essere interessante per la navigazione commerciale.  Impossibile dire quando vedremo un numero di navi a vela e anche prevedere  il dettaglio della nuova tecnologia velica.  Ma si puo’ scommettere che non saranno vele da Coppa America: saranno aquiloni della stessa categoria sviluppata per Kite-Gen.

Guardate alla prima occasione al mare o sui laghi un wind-surf: riescono a viaggiare a velocità superiori a quelle del vento.  Cercate poi di vedere un “kite-surf”: sono molto più rari, ma li avete visti anche in televisione. Il surfista su una tavola come quella dei wind -surf si fa trainare da un aquilone. Il vantaggio degli aquiloni è nel fatto che sfruttano il vento ad alta quota – una cinquantina di metri per i kyte-surf. Vanno più forte dei wind-surf. Il vento è più forte e più costante quando ci si allontana dalla superficie. Un aquilone di grandi dimensioni potrebbe prendere il vento a cinquecento o mille metri di quota. Potrebbe contribuire in maniera significativa alla propulsione di una nave. Anche tenendo conto del fatto che il vento non soffia sempre nelle direzioni in cui vuoi andare, un aquilone potrebbe ridurre i consumi di trenta o forse più percento mediando  sulla rotta di andata e ritorno.
Le compagnie aeree – su molte rotte – cercano di sfruttare le correnti a getto per ridurre i consumi. Tra dieci o venti anni è probabile che anche le rotte delle navi verranno decise dopo aver studiato correnti marine e percorsi delle perturbazioni atmosferiche: i dati raccolti dai nostri sistemi di monitoraggio del clima serviranno anche a questo. Da subito però sarebbe possibile sfruttare i venti con aquiloni del tipo Kite-Gen.  La cosa è già stata fatta in via sperimentale. Già nel 2008 una nave (MS Beluga Skysails ) ha fatto qualche viaggio di prova con un piccolo aquilone (160 m2) che poteva trainare la nave e aiutare la motorizzazione convenzionale. Era un aquilone di modeste dimensioni, poco più grande di quelli utilizzati per il parapendio. La ditta che li produce annunciava una riduzione del consumo di combustibile del quindici per cento.  E’ opinione di chi scrive che la motonave Beluga abbia raggiunto questo obiettivo solo raramente. Ma quello era solo un esperimento pilota: molto di più e molto meglio si può fare con una adeguata quantità di ricerca e sviluppo.  Andatevi a vedere le foto della MS Beluga e basteranno quelle per capire che il tentativo è stato fatto nella maniera più primitiva possibile. Non a caso l’azienda Skysails, secondo alcune notizie riportate dalla stampa tedesca sarebbe in difficoltà economiche.
Sviluppare le tecnologie per una Kyte-Ship o nave-aquilone, se preferite, non è una passeggiata. Diciamo che è una impresa circa dello stesso ordine di grandezza (direi meno) dello sviluppare una Ferrari. Difficile ma non impossibile, neanche per l’ Italia.
I problemi tecnici appartengono a tre categorie. La prima è l’ accoppiamento aerodinamica – idrodinamica: non semplice, ma risolubile.  La seconda categoria è nelle operazioni di lancio e di recupero dell’ aquilone; in questo la Kite-Gen ha già tutto il know how. La terza categoria riguarda la gestione computerizzata dell’ aquilone e anche su questo Kite-Gen ha già il know how e le competenze – come dimostra il progetto europeo KitVes condotto da Sequoia Automation, la società che sta sviluppando il KiteGen.  In questo progetto l’obbiettivo non è la trazione meccanica bensì produrre energia elettrica a bordo sfruttando i venti d’alta quota.  Ciò è interessante in quanto l’energia elettrica può alimentare sia le varie utenze a bordo che la trazione, essendo elettrici i motori di molte grandi navi (di norma vengono alimentati dall’energia elettrica prodotta da grandi motori navali a olio combustibile). La disponibilità di energia elettrica a bordo è importante anche per ridurre i costi dovuti al rispetto delle norme ambientali che impongono lo spegnimento dei gruppi motogeneratori durante la sosta delle navi in porto.  Per evitare questo inquinamento nei grandi porti si ricorre alla elettrificazione delle banchine; richiede bollette salate per i navigli attraccati.
Cosa manca? Manca un minimo di lungimiranza da parte della nostra classe imprenditrice e politica. Non è una questione di soldi: qualsiasi investimento si ripagherebbe abbondantemente e in tempi brevi. La crisi economica entra nel discorso ma in termine positivo: una delle azioni per uscire dalla crisi economica consisterà nello sviluppare tecnologie nuove e venderle in tutto il mondo.
Le difficoltà che ha incontrato Kite-Gen (un’ altra impresa che dovrebbe essere sostenuta senza ritardi) non ci fanno coraggio. Ma se non ci muoveremo subito, entro qualche anno dovremo comprare navi-aquilone dai cinesi.

Decollare, volare e tornare in sicurezza

La foto mostra il kite in volo, potrebbe essere molto piccolo oppure molto lontano?

Per visualizzare il filmato può essere necessario installare il player Quicktime

Sono certo che questo post è esattamente ciò che volevate leggere sul nostro blog.  Da alcune settimane  sono iniziati i test di decollo automatico e sono stati collezionati numerosi successi tecnici.  In una delle prove, in particolare, Mercoledì 15/02 il decollo è avvenuto con appena 1,5 m/s di vento a terra (link video in versione mov).

Lo Stem ha eseguito correttamente le previste procedure di brandeggio per il decollo automatico consentendo al kite di prendere il volo grazie al vento apparente generatosi (senza necessità di venti artificiali menzionati nella documentazione su questo sito) e srotolando interamente il cavo di 300 m.

Sappiamo che il vento medio europeo è intorno ai 3 m/s quindi questo eccezionale risultato stabilisce che il KiteGen ha la libertà di decollare in qualsiasi momento e senza ausili per almeno 5000 ore annue.

Il programma di test evolverà per consolidare il risultato e per poi verificare le durate di volo continuo, con la ambizione sempre più realistica di poter arrivare a coprire tutte le 8760 ore annue anche se non sempre raggiungendo la piena potenza nominale, nella produzione elettrica.

L’altro risultato evidente è che quantomeno la versione beta del software di controllo è pronta, un milestone importante comunque raggiunto nei tempi preventivati, che lascia prevedere che ora la strada sarà in discesa.

Una immagine del sito sepolto dalla neve

ancora neve, tanta

Ecco visibile la dimensione della vela al suo ritorno a terra.

Questa immagine mostra i tamburi con solo più qualche decina di spire di fune residue

Così dopo gli sviluppi tecnologici relativi alle manovre di decollo automatico, ai movimenti dello stelo, ai sensori, ai collegamenti radio tra kite e terra ed a molti altri aspetti “nascosti” ma ciascuno fondamentale come i singoli anelli di una catena, ora è possibile mostrare l’aspetto più visibile, anche senza dover esaminare o entrare nel dettaglio delle immense quantità di software, elettronica, sensoristica, aerodinamica,  meccanica e ragionamenti che lo rendono possibile.

Il prototipo di ricerca KSU1 (detto anche mobilgen) volava, manovrava e produceva energia già nel settembre 2006 (link video), esso ha permesso di compilare una nutrita lista di funzionalità necessarie e desiderabili da aggiungere e implementare nella macchina industriale,  definendo così un’architettura tecnologica adeguata, che potesse permettere decolli automatici, gestire le intemperanze del vento e ridurre l’usura delle parti meccaniche, dei cavi e delle vele. Queste specifiche sono state pensate e progettate poi implementate e testate compiutamente sul campo grazie all’impianto completo KiteGen Stem.

Questa in poche parole la ragione della percezione dei lunghi sviluppi prima dei decolli e dei voli di questi giorni e dispiace sinceramente aver appreso di critiche come “il team kitegen è fermo perchè non vola”.

Il volo è certamente l’aspetto più visibile ed immaginifico (fin dalla mitologia greca ed anche prima) ma non l’unico di questa impresa:

Industrializzare un prototipo che possa sfruttare i venti di alta quota.

Buon volo KiteGen!

Il ciclo dell’energia in atmosfera e la disponibilità di energia dal vento

Il Sole irradia sulla terra una potenza media di 1370 W/mq, tale valore è chiamato Costante Solare. Il mezzo attraverso il quale il nostro pianeta riceve l’energia è l’atmosfera, uno strato di gas spesso alcune decine di km. Tenendo conto che la radiazione della costante solare è riferita ad un piano tangente alla superficie sferica terrestre (che misura 510 milioni di km quadrati) si può assumere che la potenza entrante nell’atmosfera è di 350 W/mq (1/4 circa) ovvero 178500 TW su tutta la superficie terrestre.   Considerando che la potenza media richiesta da tutte le utenze terrestri è di circa 16 TW (12 GTOE/Anno – Fonte IEA 2011) si vede bene come la radiazione solare sia ben oltre 10000 volte il fabbisogno umano attuale.  Una frazione del 30% di tale radiazione è immediatamente riflessa dall’atmosfera e reinviata nello spazio.  Dei circa 230 W/mq rimanenti gran parte viene trasformata in calore ed il resto è coinvolto in processi di evaporazione. Una parte si trasforma in energia meccanica (venti). Infine, per mantenere l’equilibrio energetico, il pianeta reirradia tutto verso lo spazio. Le tecnologie per lo sfruttamento dell’energia solare utilizzano la radiazione sia diretta che diffusa (solare fotovoltaico) oppure l’energia meccanica dei venti.
Per fissare le idee sulle potenzialità dei venti si esamini la figura qui riportata, tratta da G.Parolini – Considerazioni sui principali elementi che determinano l’ambiente sulla superficie della terra – Sistema, Roma, 1967. La media terrestre di 230 W/mq equivale a 230 Wh * 24 * 365 = 2 MWh /anno per metro quadro di energia teoricamente disponibile.
Sempre con riferimento alla figura si nota che una piccola parte della radiazione solare, 2W/mq è costantemente trasformata in energia cinetica ovvero vento e, essendo un regime stazionario, costantemente dissipata in calore mediante attriti contro la superficie terrestre e tra particelle di aria.  Un semplice calcolo consente di valutare a livello globale in 1020 TW tale dissipazione, anche questa è una quantità molto superiore ai 16 TW che ci sono necessari.  Inoltre la riserva di energia meccanica, cioè l’energia cinetica di tutte le particelle di atmosfera mosse dai venti (140 wh/mq) è superiore ai 70.000 TWh, circa 6 mesi di consumi energetici planetari ed è continuamente disponibile.  Da tale giacimento è estratta l’energia eolica. La tecnologia delle torri eoliche o windmill non consente di accedere che ad una piccola percentuale di questa energia, quella che si trova nei primi 2-300 metri dal suolo.  L’eolico troposferico, o di alta quota, di cui il KiteGen è il più avanzato progetto in fase di industrializzazione, si propone, salendo fino a quote di 2000 metri ed oltre, di accedere a frazioni sempre più consistenti di questa immensa quantità di nobile energia meccanica (nobile perchè trasformabile in energia elettrica con alte rese)
Ho volutamente tratto lo schema da un testo abbastanza datato, uno dei meno generosi nella stima della frazione di potenza solare che alimenta i venti e dei più conservativi nella stima dell’energia cinetica stazionaria dell’atmosfera per mostrare che anche le stime meno generose rivelano un potenziale energetico immenso.   Esistono studi più accurati che ci permettono di considerare valori ancora più grandi, fino a 3600 TW di potenza dissipata totalmente dai venti atmosferici (Gustavson 1979).  Fin dal 1939 Brunt aveva stimato 100.000 TWh di energia cinetica totale.  Le iniziative concrete sull’eolico troposferico sono relativamente recenti, l’interesse scientifico sull’argomento sta crescendo ed il numero di articoli e studi cresce, ma con esso cresce anche l’interesse economico che può influenzare  in positivo o in negativo le varie stime; è quindi importante considerare anche studi fatti quando ancora non si pensava concretamente a realizzare impianti eolici troposferici.

NASA Langley Research Center e KiteGen

kitegen on NASA video
NASA LaRC Airborne Wind Energy Harvesting

Nasa on You Tube

Scritto da Massimo Ippolito e Andrea Papini

Mark Moore e David North del Nasa Langley Research Center mostrano come stanno ripercorrendo le varie soluzioni architetturali per implementare l’eolico troposferico.

David North inoltre annuncia di voler sperimentare la soluzione mono-fune con gli attuatori di assetto a bordo ala.

Benchè il Carosello ed in una certa misura lo Stem siano architetture indifferenti al numero di funi, cogliamo l’occasione per ricordare le ragioni che ci hanno portato KiteGen a concentrarsi su un sistema basato su due funi.

1) la sicurezza dei sistemi doppi.

Un sistema a doppio cavo ha un fattore di sicurezza estremamente più elevato di un sistema a cavo singolo, e permette in qualsiasi condizione un rientro veloce dell’ala.

I doppi moto-alternatori e tamburi si dividono il carico quindi sono circa la metà come dimensionamento e sono più maneggevoli e disponibili sul mercato

2) L’opportunità di implementare con le due funi la scivolata d’ala con ali concepite per un volo bimodale.

Con un cavo singolo  la discesa deve avvenire necessariamente  variando l’angolo di attacco dell’ala e portandosi possibilmente sul bordo della finestra di potenza del vento, strategie già percorse da KiteGen nel 2006 anche con i due cavi.

il recupero della fune crea vento apparente che restituisce portanza all’ala rallentando molto la manovra di rientro, con anche l’effetto indesiderato di dover fornire potenza ai tamburi per il riavvolgimento, mentre con le due funi abbiamo dimostrato di poter mettere l’ala in bandiera minimizzazndo tempi di ciclo e gli autoconsumi di energia.

3) La velocità di attuazione da remoto

Il controllo con un’ala molto distante mediante i cavi  non soffre di ritardi apprezzabili, la forza sui cavi, e quindi anche i comandi, si muovono alla velocità del suono nel : “Dyneema® SK75, con E = 107 GPa , ρ = 0.97 kg/dm3 si ricava = 10.502 m/s”, ovvero circa 30 volte la velocità del suono in aria
Esso costituisce un ritardo di attuazione trascurabile che permette di escludere che vi sia un vantaggio ad attuare in prossimità dell’ala.

4) Resistenza aerodinamica delle funi in volo

A parità di resistenza alla trazione totale, le due funi presentano una resistenza aerodinamica nel volo che è maggiore di radice 2 rispetto ad un sistema a singola fune. Ma le funi  possono facilmente essere rese aerodinamicamente inifluenti (brevetto KiteGen), in modo da escludere il drag tra i criteri di scelta delle stesse.

5) Avvolgimento su se stessi dei cavi, twist dei cavi

Il contatore di twist comandato dalla strumentazione di bordo ala funziona molto bene e sebbene il sistema funzioni ancora con 10 twist, il controllo può passare brevemente da i lemniscati agli ellissi per ripristinare l’allineamento corretto.

6) Forze per  l’attuazione della direzione di volo dell’ala

Fino a quando si tratta di dimostratori da poche decine di kW l’attuazione a bordo ala può essere alimentata da accumulatori o da sistemi di generazione ausiliari. Quando invece si raggiungono i MW le attuazioni diventano impegnative sia come resistenza, peso ed energia necessaria per alimentarli.

Gli attuatori in volo, è presumibile, che possano solo essere controllati ed alimentati da un cavo elettrico intrecciato all’interno del cavo polimerico di trazione, riaprendo tutte le questioni di peso, costo, interfacciamento e sensibilità alle scariche atmosferiche .

Gli attuatori volanti dovranno poi essere integrati in qualche modo nell’ala per limitare l’effetto drag sia per l’effetto della forza d’inerzia che sbilancia la vela nelle manovre.

KiteGen sul TG2

By admin, 2012/02/11

tg2 ore 20:30 di venerdi 10 febbraio

Uno “speciale” energia del TG2 Rai cita il KiteGen dal minuto 18.

http://www.rai.tv/dl/replaytv/replaytv.html#day=2012-02-10&ch=2&v=108570&vd=2012-02-10&vc=2

Ringraziamo Chiara Prato, Irene Greco e Giovanni Rossini per aver trovato ed incluso il KiteGen nel servizio, e Massimiliano Niccolini per aver apprezzato la colonna sonora del video di KiteGen che ha fatto da sottofondo a tutto il servizio.

Alcune considerazioni sul servizio:

Dal minuto 16 viene intervistato Davide Tabarelli di Nomisma Energia, che consiglia tra le principali soluzioni di realizzare più centrali a carbone ed attivare più canali di importazione di energia. Troviamo curioso che da parte di Tabarelli non venga speso un pensiero sulla pesante criticità di perseverare in questa unica strategia, che sta impoverendo l’Italia e gli italiani, questo senza contare le gravi esternalità dal livello locale fino a quello planetario dell’abuso dei combustibili fossili.

Le soluzioni basate su carbone, rigassificatori, nucleare non hanno bisogno di essere perorate da centri studi sull’energia o da iniziative politiche, infatti sono oggetto di una profonda competenza da parte degli operatori energetici che sono certamente pronti nell’introdurli, se ritenuto necessario, nelle programmazioni aziendali, il compito dei centri studi energetici e delle iniziative politiche dovrebbe essere quello di individuare alternative energetiche credibili e non marginali e promuoverne una ampia riflessione.

Da quando abbiamo iniziato ad investire sul KiteGen eravamo già consapevoli, di queste esternalità economiche ed ambientali, infatti il KiteGen è il frutto di una accurata ed oggettiva selezione  delle fonti rinnovabili e non, rimaste a disposizione del genere umano.

Il vento troposferico è risultato essere, all’interno di una matrice di valutazione, di gran lunga la soluzione energetica più copiosa e promettente, in grado di risollevare le sorti di un mondo affamato ed sovraffollato. Questo con una unica difficoltà “interna” al progetto, ovvero quella di dover implementare una sofisticata tecnologia di controllo operativo dei macchinari,  una tecnologia nota negli ambienti areonautici militari nonchè bagaglio di competenza dei tecnici legati a KiteGen.

La realizzazione, che stiamo curando, del generatore KiteGen Stem è una delle chiavi di volta per abilitare la tecnologia nelle sue varie forme, in modo da far superare il disorientamento informativo ed abilitare un investimento di diffusione della tecnologia che da soli non saremmo in grado di affrontare. In questo sforzo ci piacerebbe essere meno osteggiati poichè ne è coinvolto il nostro futuro, non solo di KiteGen.

Glossario

So che molti nostri lettori sono ansiosi di ricevere informazioni su KiteGen, tuttavia questo post ed altri che pubblicheremo in questi primi giorni hanno l’obbiettivo di inquadrare il tema in una prospettiva più ampia, chiarendo l’uso dei termini tecnici e considerando alcune basilari nozioni che aiutano a comprendere le finalità e le problematiche che affrontiamo nel nostro blog.
In primo luogo qualche definizione:

Kilo: k  1000 migliaia
Mega: M 1000000 milioni
Giga: G 1000000000 miliardi
Tera: T 1000000000000 triliardi

Quindi ad es. 1 GW è un miliardo di Watt

Energia
si misura in Joule (J) e rappresenta la capacità di compiere un lavoro.  Ad esempio un veicolo di massa m che viaggi a velocità v possiede un’energia (cinetica) di 1/2mv2.  Per frenarlo fino a fermarlo l’impianto frenante compirà un lavoro pari all’energia cinetica (che viene dissipata in calore)

Potenza
si misura in Watt (W) cioè Joule/secondo e rappresenta il tasso con cui viene compiuto un lavoro cioè quanta energia viene consumata da un utenza in un secondo. Pertanto è molto utilizzata la misura in Wattora (Wh) che indica un energia in quanto l’ora è composta da 3600 secondi nel prodotto tra J/s e 3600 s la dimensione secondi si semplifica.  In altre parole 1 Wh = 3600 J.  A volte ciò è fonte di confusione tra kW e kWh cioè tra potenza ed energia.  Un esempio per chiarire meglio: un phon da 2000 W (2 kW di potenza) in mezzora consuma 1000 Wh (1 kWh di energia)

Eolico troposferico

E’ la metodologia innovativa per sfruttare il vento a quote non raggiungibili da impianti eolici che sono eretti a terra, si basa sulla considerazione che il vento energeticamente sfruttabile è sensibilmente più frequente ed intenso a quote AGL (dal livello del terreno) che superino i 300metri e che questa progressione di potenza continui incrementandosi senza soluzione di continuità con legge funzione della velocità del vento elevata al cubo, fino a raggiungere la quota tecnicamente sfruttabile dei 9.000 metri, che rappresenta il limite superiore della troposfera.

Quota tecnicamente sfruttabile
E’ la quota raggiungibile dai dispositivi di cattura dell’energia del vento opportunamente dimensionati e controllati, senza soffrire di decadimenti della potenza erogabile e da limitazioni di controllo del volo e predizione delle traiettorie, dove tipicamente la risorsa naturale presenta potenze specifiche di oltre 1.000 volte quelle riscontrate a 50 metri AGL, per poi decadere drasticamente a causa della rarefazione dell’aria.

Quota sfruttabile
E’ la quota di volo limitata da considerazioni di compatibilità con il traffico aereo, da valutazioni di sicurezza al fine di evitare potenze del vento talmente intense da non essere non gestibili in sicurezza dallo specifico macchinario, da valutazioni di prevenzione delle conseguenze di una eventuale anomalia del sistema.

Ali o Vele
Sono dispositivi tecnologici leggeri o ultraleggeri che interagiscono direttamente con la forza e la velocità del vento trasmettendo la potenza meccanica a terra mediante funi, il sostentamento delle ali e vele viene garantito dalla presenza del vento stesso quando possiede una intensità sufficiente alla produzione energetica.

Macchina generatrice
Trattasi dell’insieme dei sistemi a terra per gestire le manovre automatiche dell’ala o vela, inclusi decollo e rientro nonchè il rientro veloce di emergenza e nel contempo provvedere alla trasformazione dell’energia cinetica proveniente dalle funi in energia elettrica mediante servo alternatori a frequenza variabile con erogazione in corrente continua.

Impianto eolico troposferico
o sistema di cattura dell’energia eolica di alta quota
E’ un impianto di produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della energia cinetica del vento troposferico, tramite un sistema principalmente composto da ali o vele che trasferiscono a terra, mediante funi, la forza con una velocità di srotolamento dei tamburi in funzione della velocità del vento, i tamburi sono calettati ad uno o più alternatori, uno o più gruppi di conversione della corrente continua in corrente alternata e altri componenti elettrici minori;

Fattoria del vento troposferico
E’ l’insieme di singoli impianti a singola vela distribuiti su un territorio contiguo facenti parte di una singola installazione, la distanza di installazione tra le macchine appartenenti alla stessa fattoria è compresa tra 80 e 150 metri.

Ciclo di produzione
Trattasi della strategia temporale ed operativa di interazione con il vento come ad esempio la suddivisione in fasi di trazione della vela caratterizzate da un guadagno di quota e allontanamento dalla base generatrice (fase attiva) intercalate da fasi di recupero della vela con perdita di quota per ripristinare il ciclo produttivo (fase passiva), il recupero deve presentare un dispendio di energia pari ad una frazione di circa 1/100 dell’energia prodotta nella fase attiva.

Impianto eolico troposferico su terraferma
E’ un impianto che viene realizzato in un sito terrestre e che viene allacciato alla rete con le linee di distribuzione o di media tensione;

Impianto eolico troposferico in mare
E’ un impianto fattoria del vento troposferico che viene realizzato in acque fino a 20 metri di profondità, che richiede piattaforme sostenute  dal fondo del mare mediante colonne  e plinti e che richiede un allacciamento in corrente continua verso una stazione di conversione a terra;

Impianto eolico troposferico in mare profondo
E’ un impianto fattoria del vento troposferico che viene realizzato in acque oltre i 20 metri di profondità, che è formato da boe galleggianti con dislocamento inferiore ai 100 metri cubi, ancorate con catene o opportuni cavi ad un corpo morto gravitazionale appoggiato sul fondo del mare, richiede allacciamenti collettivi o unificati in corrente continua o alternata sottomarini che raggiungano la terraferma;

Sistema eolico troposferico a Carosello
E’ un impianto di produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della energia cinetica del vento di potenza non inferiore ad 1 GW; esso è composto principalmente da un insieme di macchine di gestione delle vele analoghe al punto f che sono montate su e mettono in rotazione un grande anello generatore, da uno o più gruppi di conversione della corrente continua in corrente alternata e da altri componenti elettrici minori;

Sistema eolico troposferico a Carosello in mare
E’ una evoluzione della macchina al punto g con una opportuna tropicalizzzione delle componenti e un sistema di sostegno a colonne infisse sul fondale.

Sistema eolico troposferico a Carosello in mare profondo
E’ una evoluzione della macchina al punto g con la struttura galleggiante e ancorata al fondo marino mediante catene o opportuni cavi ad una serie di corpi morti gravitazionali giacenti sul fondo marino.

Potenza nominale (o massima, o di picco, o di targa) dell’impianto eolico troposferico
E’ la potenza elettrica dell’impianto, determinata dalla somma delle singole potenze nominali (o massime, o di picco, o di targa) di ciascuna macchina generatrice facente parte del medesimo impianto o fattoria del vento troposferico, misurate alle condizioni nominali;
Piccoli impianti
Sono gli impianti realizzati da una singola macchina generatrice di gestione di una singola vela, che hanno una potenza non superiore a 3.000 kW,

Grande impianto di eolico troposferico
E’ un impianto diverso da quello di cui alla lettera U tipicamente organizzato in fattoria del vento troposferico o in Carosello

FlyGen e GroundGen
Sono i termini riconosciuti internazionazionalmente per distinguere le famiglie concettuali di eolico troposferico o di alta quota che si distinguono per avere gli alternatori ed i trasformatori a bordo dell’ala ed il cavo di vincolo di tipo conduttore elettrico (FlyGen), oppure gli alternatori e il macchinario pesante di controllo a terra con le ali di tipo leggero o ultraleggero con le funi di vincolo in materiali polimerici ad alto modulo ed isolanti caratterizzati da un ciclo produttivo a yoyo.

AWE (Airborne Wind Equipments)
Termine internazionalmente adottato come tentativo di individuare il settore emergente.

Pumping Kite & yoyo
Termini adottati in letteratura per descrivere il ciclo produttivo dei GroundGen

Parte kiteblog il nuovo blog di KiteGen

Cari amici,
Con questo articolo si da avvio, a grande richiesta, ad un nuovo “canale interattivo” grazie al quale saranno disponibili notizie ufficiali aggiornate, segnalazione di eventi ed articoli tecnici riguardanti la tecnologia Kite Gen ed i molti aspetti ad essa correlati.  Ospiteremo pertanto anche contributi e spunti di riflessione su tutte le tematiche riguardanti energia, risorse, demografia e sistemi economici sperando di stimolare discussioni e commenti.  Ciò che ci proponiamo non è solamente soddisfare la diffusa domanda di notizie intorno allo sviluppo della tecnologia Kite Gen, ma anche mostrare che lo sfruttamento dell’immenso giacimento di energia eolica presente in alta quota, di cui Kite Gen è la più avanzata tecnologia abilitante, è l’ultima soluzione che ci rimane per evitare che l’avvitamento della crisi finanziaria con quella delle risorse, in particolare energetiche, continuino a precipitarci verso stati del sistema economico globale  che non ammettono il livello di benessere medio raggiunto dall’umanità grazie all’abbondante utilizzo dei combustibili fossili per una popolazione mondiale in continua crescita.  Se tutto ciò per ora potrebbe sembrare vago continuate a seguirci, perchè nei prossimi articoli porteremo avanti numerosi approfondimenti.  Ogni articolo avrà una o più categorie per seguire agevolmente gli argomenti di interesse.  Ecco alcune delle categorie e… buona lettura.

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