Category: scenari energetici

I paesi del Golfo hanno più energia in cielo che sotto terra: lo studio pubblicato in Nature Scientific Reports

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By eugenio saraceno, 2018/03/20

La prestigiosa Nature Scientific Reports ha pubblicato lo studio

High-altitude wind resources in the Middle East

da cui abbiamo estratto la mappa delle medie dei wind speed maxima (WSM) qui sotto riportata

Scopo dello studio è la caratterizzazione della risorsa venti d’alta quota sulla regione mediorientale, con particolare attenzione ai paesi della Penisola Araba, e la stima del potenziale di produzione di energia elettrica utilizzando la tecnologia KiteGen con unità da 3 MW.  Questo studio è parte delle iniziative finanziate nell’ambito della collaborazione tra KiteGen e SABIC, azienda controllata dal Ministero del Tesoro del Regno Saudita, per lo studio e lo sviluppo della fonte energetica troposferica.  Lo studio conclude che la risorsa energetica vento troposferico disponibile sul medio oriente è superiore alla risorsa di idrocarburi presente nella stessa regione e che la tecnologia dell’eolico troposferico potrebbe fornire gran parte della produzione di energia elettrica dei paesi del Golfo.

Il Comitato Scientifico di KiteGen, guidato dal Prof.Giancarlo Abbate dell’Università Federico II di Napoli ha collaborato con il team della King Abdullah University of Science and Technology (KAUST ) per fornire gli elementi di valutazione.  Purtroppo la pubblicazione contiene ancora errori, imprecisioni e sottostime che mostrano un potenziale di sviluppo della produzione di energia dalla troposfera, ancorchè grande, minore di quello che è in realtà; in particolare pesa il presupposto di dover distanziare gli impianti di 10 km l’uno dall’altro; tale distanza è di un fattore di diversi ordini più grande del necessario, portando gli Autori a sottostimare di un similare fattore il potenziale di produzione di energia elettrica.    Siamo abituati a rilevare, persino in pubblicazioni scientifiche, un generico atteggiamento superficiale ed irresponsabile nei confronti di un progetto che, pur avendo risolto tutti i nodi scientifici e tecnologici di fattibilità industriale, per la sua diffusa percezione di “bizzarra e troppo ambiziosa idea imprenditoriale” che di fatto non è e non può, pertanto, permettersi leggerezze ed imprecisioni nella esposizione.   Viene da dire che sarebbe opportuno “fare i compiti a casa” per tutti quei soggetti, da Bill Gates ad Irena (che hanno diffuso la sensazione che l’energia dagli high winds sia qualcosa di molto importante che si concretizzerà in un futuro non troppo vicino) e le varie società di consulenza che in questi ultimi anni hanno prodotto report e surveys sulle tecnologie eoliche troposferiche, ma mancando delle competenze per fornire una informazione completa e corretta.

Per cui ci ripromettiamo di essere più assidui nella comunicazione e tentiamo di rimediare pubblicando di seguito il testo in forma di rebuttal inviato a Nature ed agli Autori, con i commenti del Comitato Scientifico.

Comment #1. At page 1, second paragraph (3 lines before the end) we can read “Active projects include
KiteGen (drag) and Makani (lift)”. This is clearly a typing error, because in the following line the authors
write that KiteGen is in the development of a ground-based device, and Makani is working on an onboard
generator, while in the preceding lines they write “There are currently two major types of AWE
generators: drag type devices with generators on board with a tether that transmits electrical power,
and lift type devices that transmit mechanical power in reeling the tether connected to a ground based
generator.” So, probably the authors would have written: “Active projects include KiteGen (lift) and
Makani (drag)”.
Comment #2. This is closely connected to comment #1. In the sentence about drag type and lift type
devices, the authors seem to classify the two types with the kind of power generation, identifying onboard
generation with drag device and ground-based generation with lift device. Actually, this is not
the case. Giving per granted the definitions of lift and drag in aerodynamics (from Wikipedia: “A fluid
flowing past the surface of a body exerts a force on it. Lift is the component of this force that is perpendicular to
the oncoming flow direction. It contrasts with the drag force, which is the component of the surface force parallel
to the flow direction.), it is out of doubt that may exist on-board generators based on lift forces, as well
as ground-based generators. In fact, as far as I know, both KiteGen and Makani are lift type devices. So,
all the last part of the second paragraph at page 1 is confusing or not correct.
Comment #3. At page 9, in the Section Deployment Assumptions, the second bullet is about system
density and is the following: “System density: calculated based on how many AWE systems can be deployed in
an area. Assuming that a fully extended tether to reach any altitude within the chosen portion of the boundary
layer is 3 km, one unit of AWES is allowed in each 10 km × 10 km grid cell.” Now, it seems that the assumption
is about the tether length, and this sounds reasonable. But, actually, the strongest assumption is about
the 10 km × 10 km grid cell needed to host a single AWES. This assumption does not appear reasonable
and is in striking disagreement with the estimates given and documented by the company that is
developing the 3 MW generator (KiteGen). The disagreement is by four orders of magnitude, so huge
that a deep rethinking is needed, at least in my opinion.
Comment#4. In the same Section at page 9, in the third bullet “Spatial exclusions”, the proposed
constraints are very tight, and even too tight. AWES equipment is 10 to 100 times lighter then
windmills, allowing to access installation sites (like most mountainous areas) that are not available to
windmills. Although forests and wetland areas in Middle East are not so large, these might be easily
accessed for installing such light devices. For the same reason, AWES offshore generation (even deepwater)
is technically feasible and easier than offshore windmills, nevertheless marine regional areas are
not considered in this article. Even though we may consider that offshore AWES would be less
convenient than land-based installation, however it would be suitable for countries like Bahrein, having
a limited land extension and plenty of available sea area around it.

Tanto petrolio pulito con KiteGen. Dall’Italia almeno 10 volte l’Arabia Saudita

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By Massimo Ippolito, 2016/11/15

Lo stampo in fibra di carbonio per la Power Wing

Da maggio di quest’anno (2016), KiteGen ha completato il proprio piano industriale che ha portato al progetto esecutivo dei generatori industriali definitivi. corredato dalle numerose realizzazioni fisiche già validate ed emendate. Proprio da maggio è iniziata una intensa attività negoziale che ha già attivato buna parte della filiera industriale, che in seguito agli accordi è già attiva ed impegnata sul fronte della revisione di progetto e di produzione di serie.

La strategia di KiteGen nello scenario HAWP è stata semplice, consapevole e molto focalizzata. A consuntivo si conferma di grande successo meglio di così non si sarebbe potuto fare, confermando e mantenendo il nostro vantaggio competitivo globale. I numerosi prototipi di ricerca del passato, con la loro operatività, ci hanno permesso di stilare le specifiche precise delle macchine ideali da produrre a scala industriale e di tutte le realizzazioni inedite ed ancillarie al funzionamento del nuovo presidio energetico. Un passaggio inevitabile nonché opportuno in quanto insistere nel far volare ali provvisorie con macchine immature rappresenta un costo e non avrebbe fornito ulteriori idee ed informazioni progettuali, mentre ora abbiamo potuto finalmente tirare una linea e dopo la progettazione e  l’industrializzazione affrontare il capitolo successivo della produzione industriale di qualità con un risultato prestazionale garantito.

Il KiteGen Stem è apparentemente molto complesso, specialmente per chi non ha vissuto il processo creativo e progettuale dall’interno, sarebbe auspicabile e veramente grandioso poter godere di una audience diffusa, competente ed attrezzata, in quanto si potrebbe entrare in una logica programmatica collettiva che scatenerebbe l’ottimismo e porrebbe fine immediatamente alla stagnazione secolare in cui la nostra società è caduta.  Purtroppo dobbiamo subire la superficialità istituzionale e l’inadeguatezza accademica che in qualche modo riescono a nascondere e rallentare un processo che potrebbe essere entusiasmante e ricco di occasioni per l’intero paese, e non solo.

In più occasioni abbiamo avuto dei contatti relativamente approfonditi con l’accademia, in quanto abbiamo anche ospitato dei docenti delle facoltà di Energetica che accompagnavano dei candidati che avevano deciso di dedicare la loro tesi al KiteGen. Con nostro grande stupore questi docenti erano personalmente impegnati in progetti energetici senza innovazione già dimostratisi vani e palesemente fallimentari, questo senza mostrare nessuna tensione ideale ed assunzione di responsabilità nel condurre la conoscenza ed il proprio lavoro in direzioni potenzialmente utili alla collettività. Ovviamente l’imbarazzo di questi incontri è pesante lasciando senza risposta la domanda sulla motivazione pur consapevole di tale mediocrità ed apparente analfabetismo funzionale.

Fortunatamente esistono, benché siano sempre più rare, delle realtà professionali ed industriali che non si sottraggono all’onere di comprendere e di affrontare con la dovuta applicazione e diligenza il trasferimento tecnologico che KiteGen è in grado di offrire ed esplicitare. La grande soddisfazione è quella di assistere durante la condivisione dell’imponente dettaglio progettuale ed operativo, al progressivo riconoscimento del valore ed approvazione del lavoro fin qui fatto da KiteGen e come epilogo alla assoluta certezza ed ineluttabilità di KiteGen che occuperà una posizione da protagonista nello scenario energetico globale. Tale convinzione e corroborata dalla grande quantità di dati ed esperienze negative sulle diverse opzioni energetiche che sono state grandemente spinte finora.

Ma KiteGen non si ferma all’energia elettrica, ma affronterà agevolmente anche la produzione di combustibili di sintesi allargando notevolmente il mercato globale a cui si rivolge e che espone un TAM di $8T/anno, e che razionalmente saranno quasi tutti a disposizione per l’eolico troposferico e quindi di KiteGen ed assimilati.

Questo post di Energy Matters in inglese è una ottima introduzione accompagnato a quello di Robert Rapier, esplicitano chiaramente che KiteGen è l’anello mancante per rendere fattibile la sintesi dei combustibili liquidi, anello che speriamo di apportare presto all’intero processo. Specialmente ora che abbiamo concluso le attività creative con la loro dose di aleatorietà. Il bisogno di creatività per un progetto innovativo ovviamente impedisce una stringente programmazione temporale, alcune volte un’impasse ha portato in stallo il progetto con una buona dose di sconforto del team, e tante storie tecnologiche da raccontare. Peraltro, impasse e stallo tanto quanto le attività negoziali che spesso, con i pachidermi multinazionali, impongono una ulteriore alea ed occasionalmente atteggiamenti eccezionalmente scorretti ed inconcludenti ed ulteriori occasioni di sconforto, ma i problemi si sa incombono per essere risolti ed è proprio ciò che abbiamo ottenuto, ciò che è più importante, a vantaggio e nell’interesse di tutti.

Cogliamo l’occasione per un invito, se per caso ci leggono delle aziende o dei professionisti che pensano di essere attrezzati tecnicamente e logisticamente, se il progetto KiteGen è sufficientemente compreso, nella sua dimensione ed impatto, da poter prevedere una partecipazione alla filiera. Il team di KiteGen è disponibile, con un semplice NDA , nel mostrare e spiegare il progetto complessivo, il piano industriale, le evidenze funzionali, e le componentistiche che ancora attendono di trovare una collocazione produttiva presso terzi, nonché l’assunzione della cura in una logica evolutiva e di perfezionamento. Alcune delle componentistiche inedite ed innovative che abbiamo sviluppato meriterebbero un’azienda dedicata con un proprio business plan indipendente.

KiteGen è tra gli 8 Breakthroughs tecnologici selezionati da National Geographic e può essere una “soluzione magica” secondo Bill Gates

Gli ambiziosi traguardi negoziati nell’ambito del COP21 recentemente conclusosi a Parigi hanno entusiasmato il pubblico mondiale ma molti sono rimasti interdetti dalla polemica tra Deployers ed Innovators, nata a margine della conferenza e che sta ancora infiammando la discussione sulle Clean Energies.
In sostanza gli Innovatori, tra i quali si schiera Bill Gates, cofondatore della Breakthrough energy coalition pur condividendo gli obbiettivi della Conferenza sostengono che le attuali tecnologie energetiche “pulite” non sono in grado di consentire il raggiungimento degli obbiettivi prefissati dal COP21 in quanto troppo costose (in particolare per i paesi poveri che, pur essendo tra i più bisognosi di energia per svilupparsi, non sono in grado di pagare i sontuosi sussidi necessari alle attuali tecnologie eoliche e solari per sostenersi economicamente) e che l’impegno economico debba essere principalmente profuso in ricerca e sviluppo di nuove tecnologie energetiche migliorate ed a basso costo. Quelle che lo stesso Bill Gates definisce Energy Miracles
I Deployers (“gli installatori”) al contrario si aspettavano da COP21 un rinnovamento delle politiche di sussidio bruscamente interrotte a causa della crisi economica dai paesi come Germania, Spagna e Italia che sono stati più generosi negli incentivi all’energia pulita, provocando un rallentamento del settore che sta seminando morte e distruzione tra le compagnie un tempo leader del settore clean energy, una lista di fallimenti eccellenti che va da Solyndra ed altri numerosi casi alla Abengoa , ultima in ordine temporale con un buco di oltre 20 miliardi di €.
La posizione degli innovators si sta rafforzando man mano che si delinea chiaramente come gli attori del settore avessero prosperato in virtù di una bolla finanziaria generata dagli incentivi alla produzione e dagli investimenti attirati dalla promessa di guadagni garantiti dagli stessi sussidi governativi e che, una volta terminati quelli, la bolla scoppia vaporizzando molti investimenti. L’intento dell’istituzione dei sussidi alla produzione fu quello di agire sui costi industriali di tecnologie già presenti sul mercato aumentando la scala della produzione per ridurre i costi fino a renderle sostenibili ma, come ho argomentato qui , dopo circa 10 anni dall’inizio dei primi programmi feed-in tariff possiamo ricavare che tale intento non è stato raggiunto; il sistema ha ancora bisogno di essere incentivato ma le risorse per farlo sono sempre più scarse. Esiste un argomento logico per spiegare l’inefficacia del sussidio alla produzione rispetto al finanziamento della ricerca e sviluppo. Dal punto di vista tecnologico il sussidio alla produzione “cristallizza” una tecnologia che si trova ancora a livello precompetitivo agendo solo sulla leva del costo di produzione e distoglie risorse che sarebbero necessarie a produrre gli avanzamenti necessari alla maturazione della tecnologia. Dal punto di vista energetico il denaro utilizzato per i sussidi proviene dalle tasse o da componenti tariffarie aggiuntive imposte agli utenti del sistema elettrico. Esso è stato guadagnato facendo uso di energia fossile in ragione del tasso di intensità energetica relativo al paese che concede i sussidi. In altre parole per sussidiare la produzione di energia pulita si obbligano i contribuenti a consumare energia di origine fossile perché è l’unico modo che hanno per produrre la ricchezza necessaria a generare sufficienti risorse per consentire i sussidi. Questo paradosso può essere riassunto e generalizzato nell’affermazione che le fonti energetiche che necessitano di incentivi per stare sul mercato sono dei derivati delle fonti energetiche competitive sul mercato.
Questi concetti sono chiari agli esponenti degli Innovators che infatti rifiutano l’approccio basato sui sussidi alla produzione e caldeggiano l’innovazione allo scopo di raggiungere l’obbiettivo di tecnologie pulite a basso costo, anche a costo di dover postecipare l’introduzione dell’energia rinnovabile nei paesi poveri.
Lo stesso Bill Gates in una recente intervista al Financial Times individua diverse tecnologie che, se supportate e sviluppate, hanno le caratteristiche di energy miracles e tra queste spicca l’eolico d’alta quota definito una “soluzione magica”.
Anche per National Geographic le attuali tecnologie solari ed eoliche non sono sufficienti, la prestigiosa rivista si schiera dalla parte degli Innovators selezionando KiteGen ed alcuni suoi competitor tra le otto tecnologie destinate a plasmare il mondo dell’energia del futuro.

Risoluzione parlamentare su Eolico Troposferico

KiteGen Research esprime soddisfazione per l’approvazione da parte della Commissione Parlamentare X Attività Produttive della Risoluzione 7-00281  http://parlamento17.openpolis.it/atto/documento/id/35311 a firma On. Della Valle che impegna il Governo, rappresentato dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio On.De Vincenti, ad assumere iniziative per riconoscere il vento troposferico o d’alta quota quale fonte di energia rinnovabile;   a promuovere opportune iniziative, anche agevolando l’accesso al credito per gli investimenti e ridimensionando la quota di imponibile sul credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo, al fine di lanciare attività imprenditoriali che sviluppino tecnologie per sfruttare il vento troposferico. http://www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2015&mese=04&giorno=02&view=filtered_scheda&commissione=10&pagina=#data.20150402.com10.bollettino.sede00020
La risoluzione giunge a seguito di una serie di audizioni presso la stessa commissione, che hanno visto, tra gli altri, l’intervento di ENEA che al riguardo ha confermato le grandi potenzialità del giacimento eolico troposferico ai fini di una netta riduzione del costo dell’energia eolica qualora le tecnologie per lo sfruttamento del vento troposferico, che sono attualmente nella fase dimostrativa, fossero supportate con investimenti economici per arrivare sul mercato. https://www.enea.it/it/Stampa/news/eolico-alta-quota
KiteGen auspica che la politica continui ad impegnarsi per il miglioramento del contesto riservato alle iniziative ed alle startup innovative che operano in Italia, più problematico rispetto ad altre realtà internazionali
In termini di occupazione l’eolico troposferico rappresenta l’occasione di riaprire industrialmente il capitolo della produzione delle macchine eoliche, in Italia operava Vestas con oltre 600 addetti e 2000 nell’indotto, ma l’insufficienza in termini di remunerazione troppo dipendente dai sussidi pur su una tecnologia ormai matura hanno compromesso questo settore. Come sottolineato da ENEA il raggiungere la risorsa vento a quote che consentano di intercettare anche solo un 10% in più di velocità porta ad un incremento sul conto economico di un 33% che farebbe la differenza tra una iniziativa sussidiata ed un businness redditizio in grado di crescere in autonomia.  Il dato del 10% si riferisce a quote intorno ai 500m di altezza dal suolo, mentre KiteGen, oggi supportata dalla multinazionale Saudita SABIC S.A., ha già sperimentato con successo quote di 2000metri con le proprie installazioni di ricerca, ed a tali altezze la velocità media del vento raddoppia portando un 800% di miglioramento a livello economico, declinato non solo in maggior potenza ma anche in energia con un funzionamento esteso nel tempo di almeno 4 volte rispetto al tradizionale. Questa peculiarità dell’eolico troposferico porta anche ad eliminare il limite dell’intemittenza abbattendo gli oneri del sistema elettrico (bilanciamento – dispacciamento)

Update: KiteGen ready to set up the supply chain for the Saudi contract

The KiteGen® Group has been participated in April 2013 by Sabic Ventures – the venture company owned by Saudi Arabian Basic Industries Corporation (SABIC) – and signed a 5 agreements contract including a 200 KiteGen Stem units purchase agreement. The Sabic kite farm will be located close to Jubail Industrial City, Saudi Arabia.

KiteGen has now reached the 8th technology readiness level and its technology package is as advanced as needed in order to transfer the technology to a supply chain and start the industrial production.

KiteGen® technology is the latest evolution of wind energy exploitation. It is a paradigm shift that may be the most practical and effective solution to the world’s energy needs. The Kitegen technology is based on a decade of research and development; it has presently reached the stage at which it will be implemented on an industrial scale. The main innovation is given by the fact that KiteGen can exploit a novel, powerful, endless and almost universally available source of energy: the high altitude wind power. Large wings tethered by strong polymeric ropes, driven by a high-tech control system based on avionic sensors, fly at high altitude, harvesting the energy of powerful winds, much faster and constant than those available near ground.
The Saudi kite farm will be the renewable energy cornerstone of a Saudi 66 billion $ program aiming to power projects as the region water desalinization and the Carbon Capture and Utilization (CCU) , the Saudi approach is to check the suitable RES technologies and KiteGen® is in pole position thanks the unprecedented net energy ratio of the fully owned exclusive concept outperforming, at least, tenfold any other renewable energy technology.

Technical notes on CCU

The CCU process compresses and purify the raw carbon dioxide coming from certain petrochemical plants. The purified gaseous CO2 is pipelined to a processing facility for enhanced methanol and urea production. Methanol is a basic commodity for the chemical industry and urea is used for fertilizer production. Massive quantities of renewable electrical energy at very low cost is needed to drive effectively those processes.
In summary, recovering 500,000 tonnes of CO2 emissions by CCU each year is equivalent to the removal of 2,6 millions of cars, representing the worldwide most advanced, reproducible and  promising method to reverse the most harmful forcing over the global climate.

Valutazione della SEN

E’ scaduta il 30 Novembre 2012 la consultazione pubblica sulla Strategia Energetica nazionale o SEN.
Diamo atto al Governo, anche se ormai dimissionario, di aver tentato una rottura con il passato dando il giusto peso all’energia dopo anni di disinteresse e facili slogan da parte della politica (chi si ricorda del Rinascimento Nucleare?).  Dopo 24 anni il MISE era al lavoro per l’emissione di un nuovo Piano Energetico Nazionale accettando contributi anche da attori diversi da quelli che in genere vengono consultati in audizioni più o meno pubbliche dal Parlamento o nelle sale del ministero.  E’stato possibile infatti, inviare le proprie osservazioni compilando un questionario appositamente predisposto sul sito del MISE
Tuttavia è lecito esprimere dubbi sulla reale incisività di tali contributi sulla successiva stesura definitiva del SEN, semmai ve ne sarà una visti gli ultimi accadimenti politici.  Innanzitutto il documento posto in consultazione è ampio, complesso, composto da luci ed ombre.  Ambiguo sui alcuni punti e chiarissimo su altri.  Le ossevazioni sono, al contrario, accettate su 24 puntuali questioni che, pur affrontando i temi principali, non consentono al commentatore di esprimere un contributo critico coerente ma tendono a frammentarlo in un insieme di asserti molto specialistici incanalandolo su un sentiero predefinito dalle linee guida ministeriali.
Sebbene in un primo momento avessimo pensato di rispondere al questionario, in considerazione del fatto che le proposte di KiteGen in merito alle strategie energetiche nazionali sono per loro natura organiche e coerenti e già delineate da tempi non sospetti, di molto precedenti alla decisione di progettare una SEN, abbiamo preferito non farlo e plaudire all’iniziativa di ASPO Italia, che risposto ad alcune delle questioni poste dal SEN, in particolare segnalando quella che dal punto di vista KiteGen è la lacuna più evidente, ovvero la mancanza dell’eolico troposferico tra le tecnologie energetiche innovative considerate d’interesse strategico nazionale.
Alla frammentazione imposta dal questionario SEN vogliamo comunque contrapporre la nostra valutazione della strategia energetica del MISE e la nostra visione che risulta alternativa su numerose tematiche.
La SEN è architettata su 7 tematiche fondamentali, Efficienza energetica, Mercato nazionale del Gas e ruolo di HUB Sudeuropeo, Sviluppo energie rinnovabili, Sviluppo infrastruttura e mercato elettrico, Ristrutturazione di Raffinazione e Distribuzione carburanti, Produzione nazionale di idrocarburi, Modernizzazione del sistema di Governance.
Su tutte incombono gli audaci obbiettivi che si vorrebbero traguardare, che superano quanto richiesto all’Italia nell’ambito del pacchetto UE Clima Energia o 20-20-20 che richiede al Paese entro il 2020 una riduzione del consumo di energia primaria del 20% rispetto al trend calcolato in assenza di misure correttive, una riduzione del 18% delle emissioni di gas serra rispetto al dato 2005 (575 MTon CO2eq) ed una percentuale del 17% del consumo energetico coperto da fonti rinnovabili.  Il MISE fissa i seguenti obbiettivi:
1) Riduzione del 24% rispetto ai consumi energetici attesi al 2020 in assenza di mitigazione (209 MTep)
2) Quota rinnovabili su consumo totale 20% (dal 10% del 2010)
3) Riduzione gas serra del 19% (da 575 MTon CO2 eq del 2005 a 466)
Tutto ciò dovrà avvenire contemporaneamente ad una riduzione delle bollette energetiche a livelli europei (-20% per il gas e -40% per l’energia elettrica), alla trasformazione del paese in un HUB del gas in grado di veicolare verso il nord europa alcuni miliardi di metri cubi annui di gas naturale ed all’alleggerimento del costo delle importazioni di materie prime energetiche di 14 mld euro rispetto ai 62 attuali
Sostanzialmente tutto ciò implica che al 2020 i consumi energetici nazionali dovranno ridursi dai 165 MTep del 2010 a 155-160 MTep mentre i consumi lordi di energia elettrica dovranno crescere dai 346 TWh del 2010 ai 360 per favorire la decarbonizzazione dei settori civili e trasporti mediante la sostituzione di fonti fossili con climatizzazione a pompa di calore e trazione elettrica e che la produzione domestica di idrocarburi dovrà raddoppiare.  Inoltre le infrastrutture del gas (rigasificatori, gasdotti, stoccaggi) dovranno essere potenziate e l’assetto delle società di gestione corretto in modo da favorire la concorrenza.  Quest’ultimo impegno è considerato fondamentale poichè dal maggiore prezzo del gas sul mercato italiano discende anche il maggiore costo del kWh essendo la maggior parte della produzione termoelettrica generata da impianti che utilizzano tale combustibile.  Si fa anche troppo affidamento sull’eventualità che l’aumento di produzione di idrocarburi in Nordamerica, legato al fracking ed allo sfruttamento di risorse non convenzionali possa beneficiare presto anche l’europa. Gli squilibri, attualmente presenti sui mercati regionali del gas, stanno abbassando il prezzo spot del GNL perchè gli Usa, grazie al fracking, non importano più GNL che ora viene piazzato sottocosto in Asia ed Europa (a chi ha le infrastrutture di rigasificazione ovviamente, il cui sviluppo quindi occupa in SEN un posto d’onore).  Gli effetti di tali squilibri saranno duraturi o solamente temporanei?  I maggiori costi economici ed ambientali di estrazione del gas non convenzionale dovranno presto o tardi emergere.  La scommessa su gas abbondante a basso prezzo è quantomeno ingenua.  Le risorse non convenzionali sono ingenti ma saranno messe sul mercato a prezzi compatibili con i loro alti costi di estrazione e di accettabilità sociale.  Pertanto il progetto di sviluppo del gas naturale presente in SEN è certamente strategico ma va ridimensionato su due aspetti.  E’giusto diventare un paese di transito e diversificare le modalità di approvvigionamento troppo sbilanciate sul pipeline ma è necessario tenere conto della maggiore sicurezza energetica garantita dai contratti take or pay e dalle pipeline, in particolare quelle non passanti per paesi di transito con un passato di ricatti energetici.  Tale sicurezza si paga con una minore flessibilità.  La raccomandazione per il MISE è di mantenere questo tipo di fornitura per una percentuale di volume di gas compatibile con i consumi interni ed affidarsi allo spot per una percentuale simile ai volumi che si pianifica di esportare verso il nordeuropa tramite il gasdotto transitgas.  Pertanto le azioni da intraprendere potrebbero essere:
1) collegamento diretto con Balcani e Turchia per potersi allacciare al south stream e/o a flussi di gas provenienti dal Caspio e dal Golfo Persico.
2) Ridimensionamento della capacità di rigasificazione da aggiungere agli attuali impianti.  Può essere sufficiente un apporto aggiuntivo pari alla capacità del transitgas, quindi una coppia di rigasificatori.  Il posizionamento in alto Adriatico ed in alto Tirreno potrebbero consentire minori costi infrastrutturali poichè questo gas dovrebbe fluire verso nord.  In alternativa il posizionamento di una unità in Sardegna consentirebbe la metanizzazione dell’isola ma richiederebbe un allaccio al continente ed eventualmente una diramazione per la Corsica.
L’altro aspetto è legato al potenziamento dell’impiego di metano per autotrazione. Oltre i vantaggi ambientali, al risparmio di importazioni petrolifere, al conseguente ridimensionamento ed efficientamento della capacità di raffinazione ed agli effetti di diversificazione ed efficientamento sulla rete di distribuzione, questa soluzione consentirebbe di utilizzare volumi di gas non più impiegati nel settore elettrico e civile per far spazio all’aumento di produzione delle fonti rinnovabili ed all’efficienza e di compensare un possibile scenario di volatilità dei prezzi del gas legato ad intervenuti fattori di costo della risorsa non convenzionale cui si è accennato oppure l’interruzione di un canale di fornitura. La caratteristica bifuel dei mezzi a metano consente infatti di utilizzare sempre il combustibile più a buon mercato.
Sugli altri obbiettivi generali della SEN si può essere d’accordo (esclusi quelli legati alla produzione di idrocarburi nazionali sui quali ci allineiamo alle critiche di ASPO)  ma quanto si propone per la relativa attuazione non entusiasma.
Innanzitutto lo scenario tendenziale “non mitigato” al 2020 è una classica proiezione econometrica basata su un tasso di crescita dell’economia nei prossimi 8 anni sulla cui entità (1,4%) si stenta a credere stante la crisi attuale e la mancanza di prospettive economiche.  Per quanto il MISE si sia applicato proponendo l’implementazione delle migliori pratiche nell’ambito dell’efficienza energetica, prevedendo il potenziamento dei certificati bianchi, delle normative edilizie ed industriali e degli incentivi in conto termico, c’è il rischio che il previsto calo dei consumi energetici di 5-10 MTep avvenga comunque per un processo spontaneo legato alla crisi; del resto, rispetto al picco dei consumi energetici avvenuto tra il 2005 e il 2006 ad oggi esso si è ridotto di 15 MTep solo in piccola parte attribuibili a politiche governative come i certificati bianchi, le rottamazioni e le normative sugli standard energetici.
Ma il punto più interessante è senz’altro come realizzare l’obbiettivo 2.  Come anticipato questo significa aumentare di 16-17 MTep il contributo delle rinnovabili dagli attuali 18.  Di questi da 9 a 11 sono attesi dall’aumento di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (+ 50-60 TWh al tasso di conversione convenzionale odierno pari a 0,183 MTep/TWh) altri 1,5 provengono dall’applicazione della quota del 10% di biocarburanti sul totale dei consumi per autotrazione e altri 5-6 MTep dalle rinnovabili termiche, principalmente caldaie a biomasse e solare termico.
A mio avviso l’arditezza degli obbiettivi contrasta con le ridotte disponibilità di incentivi annui previsti a regime (solo 2,5 mld per le fonti elettriche e 2 mld ripartiti quasi equamente tra le rinnovabili termiche e i biocarburanti)  L’esiguità degli incentivi è giustificata dalla previsione di rapido raggiungimento della grid parity per il fotovoltaico e dalla ipotesi che si possano ottenere in modo sostenibile biocarburanti e biomasse per un totale di 6-7 MTep.
Per l’ambito elettrico non si tiene dovuto conto delle problematiche di dispacciamento introdotte dalle fonti rinnovabili intermittenti, le uniche che negli ultimi anni hanno avuto tassi di crescita compatibili con l’obbiettivo proposto dalla SEN, problematiche che devono essere risolte con sostanziosi investimenti sulla rete e, in prospettiva con la smart-grid, una cosa vaga di cui molto si parla ma nessun paese ancora ha, di cui la SEN non azzarda a calcolare i costi complessivi nè a dire chi dovrà pagarli. Anche la grid parity del FV, non lo è sulla base del costo industriale del kWh ma su quello di distribuzione, il che significa,considerando che la composizione della bolletta è per metà oneri di rete e di varia natura,  che anche se non si erogano incentivi, in compenso non si pagano gli oneri che vengono spalmati sugli altri utenti, l’effetto è lo stesso.  Tutto ciò contrasta con uno degli obbiettivi più importanti posti dalla SEN, la riduzione dei costi dell’energia.
Per l’ambito biomasse/biocarburanti si può affermare che l’evenienza di produrre tali quantità di biocombustibili senza confliggere con le esigenze alimentari dei paesi produttori delle materie prime utilizzate nella produzione di biofuel (considerando che anche gli altri paesi europei hanno l’obbiettivo del 10%) è abbastanza remota, come anche si è osservato in sede di UE prevedendo la possibilità che l’obbiettivo del 10% venga sospeso.  Il tutto è legato alla possibilità di un’affermazione rapida dei biocombustibili di II e III generazione, prodotti dal processamento della lignina o da alghe, quindi non in conflitto con le esigenze alimentari.  E’lecito anche dubitare della piena attuabilità in modalità sostenibile dell’aumento di sfruttamento delle risorse forestali per l’attuazione dell’obbiettivo definito per gli usi termici.  Anche se questa esigenza non è in conflitto con le esigenze alimentari, l’eventualità di una cattiva gestione forestale, con riduzione del manto boschivo per ottenere maggiori quantità di biomasse ad uso termico è un rischio da scongiurare, tenendo anche conto del dissesto idrogeologico che caratterizza la nostra penisola. L’approccio sarebbe criticabile anche se si prevedesse di importare biomasse a basso costo da paesi in cui la gestione forestale è necessariamente ancor meno sostenibile.
Non ci soffermiamo sul punto 3) che discende dal successo degli obbiettivi 1 e 2.
Non invidio affatto i tecnici del MISE che si sono dovuti impegnare per scrivere qualcosa di sensato in una situazione che va verso il disastro economico ed ambientale.
Io da parte mia, prendendo a riferimento il piano industriale KiteGen ho fatto presto a calcolare che partendo da una prima farm da 150 MW esercita ad un costo del kWh pari al prezzo medio sul mercato elettrico, considerando un tasso di apprendimento annuo che consenta un miglioramento delle performance tale da raggiungere le 3400 ore equivalenti al 2020 (solo la metà del massimo teorico) e ipotizzando un tasso di crescita annuo delle installazioni del 100% (inferiore a quello registrato dal fotovoltaico anche se l’IRR di quest’ultimo, all’epoca dei conti energia più generosi, sarebbe stato paragonabile a quello di una kite farm) si otterrebbe al 2020 una produzione di 65 TWh, senza necessità di incentivi nè di costosi adeguamenti alla rete. E lo si farebbe con una tecnologia italiana, generando molti più posti di lavoro di quelli ipotizzati in sen per lo sviluppo dell’oil&gas domestico (che è un settore molto capital intensive) e senza i rischi di devastazioni ambientali tipiche di quest’ultimo.
L’energia così prodotta consentirebbe:
1) superare l’obbiettivo SEN dei +60 TWh di energia rinnovabile senza dover aumentare il peso degli incentivi in bolletta e senza necessità di investimenti a lento rientro in smart-grid.  Una rete di KiteGen farm, grazie al monitoraggio costante dei flussi di vento ad alta quota, che consente di prevedere e bilanciare accuratamente la produzione, ed alla soluzione di stoccaggio locale basata su supercondensatori è essa stessa una smart-grid.
2) ridurre le importazioni di energia elettrica  di 5 TWh
3) disporre, nell’ipotesi qui riportata di potenziamento delle infrastrutture, di circa 33 Gmc di gas da esportare o spostare al settore dell’autotrazione, rendendo anche più sostenibili i trasporti e riducendo la necessità di importare petrolio, di cui non si prevede una discesa dei prezzi.
4) traguardare l’obbiettivo 20-20-20 di riduzione delle emissioni di CO2.
Ma la grande prospettiva consiste nel favorire l’affermazione di un nuovo modello italiano di gestione delle risorse energetiche, capace di affermarsi in Europa e di competere nel mondo.  Un modello che si basa sul coprire la maggior parte dei consumi energetici con energia elettrica rinnovabile ove possibile e di spostare sul gas i consumi meno adatti alla penetrazione dell’elettricità, come i trasporti su gomma.  Un modello che si rafforza con la presenza di aziende italiane in tutti i settori impattati.  Abbiamo eccellenze italiane nella intera filiera del gas e nella progettazione e produzione di veicoli a metano; KiteGen si candida ad esserlo nei sistemi eolici d’alta quota per la produzione massiva di energia rinnovabile a basso costo.

Su Canaleenergia il Piano Industriale KiteGen per Alcoa

Canaleenergia, testata specializzata del Gruppo Italia Energia,  ci segue regolarmente e pubblica oggi una intervista riguardante il piano industriale proposto da KiteGen per il salvataggio di Alcoa.

Contro il riscaldamento climatico, serve KiteGen?

Il 9 settembre è uscito NATURE CLIMATE CHANGE con l’articolo di Ken Caldeira, Kate Marvel, Ben Kravitz con la ulteriore conferma delle posizioni di KiteGen ed altre informazioni inedite di grande importanza. Il giorno sucessivo come logica conseguenza e atto dovuto abbiamo inviato le lettere al governo con la proposta di soluzione per ALCOA. Forse è stato un atto troppo fiducioso sulla immediata fruibilità del lavoro su NCC e della buona copertura informativa ottenuta. [breve video di Caldeira che introduce lo studio]

Contavamo sui contenuti presenti, carichi di significative informazioni, questo al fine di dare supporto alle nostre argomentazioni più economiche, pensavamo che il Ministro Passera saltasse dalla sedia dicendosi  “ecco la soluzione!” Invece i giornalisti gli attribuiscono un commento scettico.

Ora vediamo di rimediare analizzando in queste pagine il lavoro di Caldeira, Marvel e Kravitz magari a puntate, i commenti ben ragionati dei lettori sono graditi.

Questo Blog qui linkato è curato da un docente di fisica e matematica, Marco Pagani che per primo ha  individuato ed evidenziato un aspetto del lavoro su NCC che risulta essere una novità, forse un’ancora di salvezza di grandissima attualità relativamente al cambiamento climatico. Il presidio di geoingegneria più potente finora individuato per raffreddare in emergenza la temperatura del pianeta, benchè si speri ancora che non diventi imprescindibile doverlo adottare.

Stabilire invece la massima potenza estraibile senza disturbare il clima, ne nel bene ne nel male, deve essere un esercizio di valutazione condotto tramite un principio di precauzione, che si scontra inoltre con delle convinzioni ideali di ciascuno sul modello di società e di popolazione numericamente sostenibile. Secondo le pubblicazioni scientifiche precedenti e sostanzialmente confermato da questo ultimo paper, sull’Italia fluisce una potenza totale il cui ordine di grandezza è intorno i 100 TW. Questa sarà una discussione lunga e ricca di posizioni filosofiche contrapposte ma per ora completamente priva di significato poichè fin’ora questo giacimento di energia rinnovabile  è stato intercettato solo perr una frazione infinitesima.

Permettetemi di fissare ad 1 TW la massima potenza estraibile dall’Italia, ovvero un arbitrario 1% di ciò che fuisce naturalmente, per il piacere dei numeri tondi e per offrire una metafora significativa:    L’Arabia Saudita produce 12,5 milioni di barili di petrolio al giorno, 521000 barili all’ora, la potenza termica equivalente contenuta nel petrolio estratto è di circa 1 TW, ovvero, gigawatt più gigawatt meno, equivalente a ciò che ho ipotizzato si possa estrarre dal vento troposferico italiano pur limitando modifiche climatiche. Questa è grossa vero?, rifate pure i conti se non ci credete, sono abbastanza facili.

Anche di radiazione solare ne abbiamo così tanta, ma per raccoglierla servono i dispositivi dispiegati sul territorio, mentre per l’eolico il pannello fotovoltaicocinetico è l’atmosfera stessa, già naturalmente dispiegata e manutenuta ed il KiteGen è solo la presa di forza che colletta l’energia raccolta dall’atmosfera.

Vorrei evidenziare un ulteriore grafico che mostra in particolare il vantaggio dell’eolico troposferico.

La linea blu è quella attribuibile al KiteGen, la linea rossa è attribuibile alle turbine eoliche. L’asse verticale indica la dimensione della superficie che intercetta il vento, comparata con il rateo di estrazione di energia cinetica sulle ascisse.

KEE vs drag area graph

estrazione di energia cinetica rispetto all'area di drag

Per una estrazione di potenza di 480 TW ogni kilometro cubo presso tutta la superficie del pianeta deve avere una turbina eolica che intercetta un fronte vento di 10000 metri quadrati,  un ettaro, mentre per l’eolico troposferico sono sufficienti un equivalente di 23 metri quadrati per km cubo.

L’eolico troposferico, però, non si limita al km cubo vicino terra, ma nello studio sfrutta idealmente tutta l’atmosfera, quindi per precisare il calcolo dell’equivalenza di superficie dobbiamo moltiplicare i 23 metri quadrati per il numero di cubi sovrapposti, tipicamente 10, corrispondenti a tutta la troposfera.

Quindi un’ala che spazzola 230 metri quadrati in altitudine sarebbe equivalente ad una pala eolica che spazzola un fronte vento di un ettaro.

Abbiamo detto un’ala che spazzola una superficie, ma quanto deve essere grande l’ala?

Un metodo semplificato è di dividere l’area da spazzolare con l’efficienza aerodinamica della stessa, un’ala con efficienza 10 qundi potrà avere una superficie di 23 metri quadrati per equivalere ad una torre eolica da 2,5 MW che tipicamente spazzola un ettaro di vento.

L’interesse pratico e tecnologico è quello di ottenere la potenza desiderata in un compromesso ideale tra quota di lavoro e superficie, ed è per questo che abbiamo scelto con il KiteGen Stem di volare sotto i 2000 metri con ali fino a 150 metri di superficie.

la  fluidità dei dati e delle prestazioni del KiteGen, che dipendono fortemente da decisioni sulla configurazione, sull’ala, la quota ed ovviamente il vento sono uno degli aspetti che infastidiscono chi è abituato a specifiche precise, che invece di apprezzare la libertà di modulazione e le opportunità offerte vede con sospetto il progetto, forse anche qualche consulente del governo.

In questo recente exploit mediatico, come dicevo, è stato attribuito al Ministro Passera un molto generico commento di tipo scettico sulla tecnologia KiteGen, provo ad interpretare. Sembra che i politici non siano più in grado di ragionare autonomamente senza le lobbies che li incalzano perennemente. Chi non si è fatto la lobby resta escluso da ogni ragionamento ed opportunità anche se è a vantaggio del paese e della collettività.

Ma se fosse chiaro a tutti di avere l’equivalente di una Arabia Saudita all’interno del territorio nazionale, merita ancora farsi delle domande a livello di banchieri, executive, politici, ministri  sul particolare sistema di trivellazione per estrarre l’energia e di come si fà per realizzarlo?

No! per favore, è materia complessa fidatevi dei brevetti “granted” dei riconoscimenti e delle 12 proposte KiteGen in risposta a bandi nazionali e regionali per l’innovazione tecnologica, ammesse a finanziamento ma sfortunatamente sempre senza copertura.

Metteteci piuttoso in condizione di lavorare e lasciateci fare senza tali commenti che altrimenti dai guai non ci usciamo mai più.

KiteGen, la vicenda Alcoa e Nature Climate Change

By stekgr, 2012/09/10

Ieri è uscito Nature Climate Change con un articolo che finalmente ri-conferma l’immenso giacimento di energia rappresentato dal vento troposferico, l’Italia è sorvolata da un flusso dal quale si potrebbe facilmente estrarre 1 TW continuo di potenza, ovvero oltre 8000 TWh di energia annui.

I quali, trasformati prosaicamente in denaro, equivarrebbero ad una produzione netta di ricchezza puramente endogena all’interno del territorio italiano stimabile in 800 miliardi di euro l’anno….  13000 euro/anno procapite!!

Dovrebbe essere ovvio, quindi il legame di attualità tra Nature, Alcoa e KiteGen, in quanto si tratta di tanta energia e a basso costo.

Quale originario del Sulcis Iglesiente ci tenevo a condividere questa riflessione, e pubblicare le comunicazioni spedite da KiteGen agli organi governativi e non, impegnati in queste ore sulla questione Alcoa.

Se comprese, sarebbero una soluzione ai problemi endemici di lavoro ed occupazione della mia terra.

Se attuate, creerebbero le risorse ed il “giro” economico per favorire il ripristino ambientale dalle molte devastazioni e costituirebbero una vetrina di sostenibilità che gioverebbe all’immagine di questa bellissima terra. Mentre a livello nazionale, sgraverebbero la collettività da un’altro miliardo di euro come quello già elargito ad Alcoa negli ultimi 15 anni.

Mi scuso con i destinatari per pubblicare online tali lettere, potrebbe apparire una forzatura ma altre volte tali comunicazioni, sfortunatamente non ottengono riscontro.

Stefano

KiteGen – ALCOA, come atto di informazione dovuto ed irrinunciabile.pdf

Stabilimento Alcoa di Portovesme – interesse acquisizione.pdf

KiteGen costa un tubo

La recente notizia riguardante lo sviluppo del giacimento Tempa Rossa (Basilicata) in concessione a Total/Shell, che dovrebbe produrre 50.000 barili al giorno dal 2016 a fronte di un investimento di 1,6 mld, in cui è incluso anche un nuovo tratto di pipeline per il collegamento alla raffineria, conferma che la linea del governo in tema di energia è sempre più marcatamente quella di attirare questo tipo di investimenti nel titanico tentativo di ridurre la dipendenza del paese dagli idrocarburi di importazione estera. Titanico perchè rispetto ai 1,4 mln di barili consumati ogni giorno in Italia, di cui poco più del 10% di produzione domestica, la mole degli investimenti da direzionare sul settore per smuovere anche di qualche punto percentuale lo squilibrio tra import e produzione interna sono veramente ingenti. L’Italia è un paese poco interessante dal punto di vista degli idrocarburi, tuttavia ne possiede riserve non trascurabili, circa 1 mld di barili secondo stime di qualche anno fa. Sembrano numeri importanti ma, se relazionati ai consumi, fanno un paio d’anni di autonomia. I giacimenti italiani sono anche poco agevoli per via delle notevoli profondità che devono essere raggiunte. Per forza di cose i costi di estrazione sono elevati. In alcune aree, come ad esempio il medio Adriatico, la qualità del petrolio estratto è anche abbastanza scarsa. Non va meglio per il gas naturale; nel dopoguerra i giacimenti padani permettevano l’autosufficienza della nascente industria energivora ed ancora negli anni ’90 la produzione domestica era intorno al 30% del consumo totale. Oggi si è scesi intorno al 10% per il declino di queste produzioni ed i tanto decantati 30 miliardi di metri cubi che attendono di essere coltivati sotto il fondale dell’alto adriatico non sarebbero neanche 6 mesi di consumi. Sostanzialmente cercare di sviluppare il settore domestico dell’estrazione di idrocarburi è un’opzione con prospettive strategiche abbastanza limitate, seppure con l’attuale livello dei prezzi sia economicamente sostenibile e possa anche generare dei buoni profitti. Le compagnie non a caso si stanno muovendo intensamente sul suolo italiano solo da pochi anni (da quando i prezzi del barile sono elevati) benchè i giacimenti che andranno a sfruttare siano conosciuti da tempo. Dal punto di vista della strategia energetica di lungo termine, della gestione del mix di risorse e, non ultimo, del costo dell’energia il piano energetico che il governo sta preparando, basandosi sulla capacità di attrarre investimenti sulla coltivazione di giacimenti domestici di idrocarburi esigui ed ad elevato costo di estrazione è assolutamente insufficiente, per tacere delle implicazioni ambientali sulle aree interessate dalle trivellazioni. Il rimedio al problema energetico del paese non è certamente ridurre di pochi punti % la dipendenza dall’estero lasciando invariato il mix, che è la causa primaria del maggior costo dell’energia in Italia rispetto alla media europea. La generazione di energia elettrica prevalentemente da fonti costose come il gas naturale e l’eccessivo sbilanciamento del sistema dei trasporti verso la modalità su ruota sono le palesi anomalie da sanare. La strada presa con lo sviluppo delle fonti rinnovabili può alleviare la situazione, ma finchè si ricorre a fonti intermittenti, non competitive senza incentivi, le distorsioni si ritorcono contro gli utilizzatori dell’energia che dovranno pagare sia gli incentivi per sostenere economicamente le fonti rinnovabili che quelli per sostenere il sistema di bilanciamento della rete, garantito dai generatori termoelettrici di alto merito come dimostra il recente provvedimento sul capacity payment. Non ci stancheremo di ripetere che la soluzione è lo sviluppo di fonti rinnovabili non intermittenti ed a basso costo di generazione, cosa che con l’impegno di KiteGen negli ultimi anni si sta concretizzando come una opportunità reale. Se torniamo all’investimento di Total/Shell sul giacimento tempa rossa, 1,6 miliardi di euro, sarebbe sufficiente a costruire un generatore KiteGen Carousel da 2,5 GW, capace di produrre 12,5 TWh elettrici annui di energia, corrispondenti a 32,5 TWh termici, ovvero 2,8 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, il 4% della domanda annuale italiana di petrolio (69,7 MTep nel 2011). Il giacimento di Total/Shell produrrebbe intorno al 3,75% di tale domanda. Produrre 12,5 TWh elettrici da Kitegen farebbe risparmiare 2,5 miliardi di metri cubi di gas naturale che potrebbero essere impiegati per metanizzare il 25% dei trasporti pesanti su gomma, sostituendo circa 2 milioni di tonnellate di gasolio, ovvero circa 40000 barili al giorno, per produrre i quali l’output di Tempa Rossa, considerando le perdite di raffinazione e i sottoprodotti meno nobili non sarebbero sufficienti.  In sostanza una simile politica energetica consentirebbe, a parità di investimento, oltre a ridurre la dipendenza da petrolio importato, anche di ridurre le emissioni di gas serra di oltre 6 milioni di tonnellate annue e di ridurre l’incidenza degli idrocarburi nel mix di generazione elettrica calmierando gli effetti della volatilità di questi mercati sulle tariffe elettriche.

Eroei e redistribuzione

Nel precedente articolo della serie Storia energetica della civiltà ho parlato di benessere medio perchè se in un mondo ideale tutti i fattori della produzione beneficiano pro quota di un miglioramento di efficienza, esiste ovviamente un problema politico di redistribuzione, in qualche modo anch’esso è legato all’eroei. Immaginiamo una civiltà che ha accesso ad una data fonte energetica e ad un insieme di tecnologie per sfruttarla.  Se l’eroei della fonte di cui si dispone, mediante le migliori tecnologie di estrazione è sufficientemente alto vuol dire che con piccole quantità di fattori di produzione ovvero lavoro e capitale si ottengono grandi risultati in termini di produzione. Tale vantaggio si suddivide tra capitale e lavoro secondo i rapporti di forza intercorrenti nel contesto storico in cui avviene la trasformazione economica indotta dall’adozione della nuova fonte energetica, ma è indubbio che avendo a disposizione una torta più grande da distribuire, anche la parte più debole può ottenere con minore sforzo un miglioramento delle condizioni economiche. Soffermiamoci su due esempi in diverse epoche storiche e con livelli di tecnologia molto diversi: la Roma repubblicana e la rivoluzione industriale.

Roma repubblicana è una civiltà dell’antichità la cui fonte di energia è l’agricoltura.  La fonte agricola è comune a tutti gli altri popoli antichi ma, per ragioni che legherei alle capacità organizzative ed alla posizione strategica nella penisola e nel mediterraneo la Civiltà Romana ottiene un vantaggio naturale che consente di prevalere su alcuni popoli vicini. Oltre a questo vantaggio naturale i romani si applicano a migliorare notevolmente l’eroei della loro fonte energetica conseguendo il vantaggio definitivo che consente di soggiogare gran parte dei vicini. L’antica Roma repubblicana è la prima società che applica lo schiavismo in maniera scientifica ed a livelli mai visti prima.   E’assodato che in precedenza nessuna civiltà aveva mai gestito tali masse di schiavi e deportazioni così consistenti di prigionieri su distanze paragonabili; persino nell’antico Egitto i Faraoni ricorrevano a lavoratori coatti, ma di stato libero e salariati, per la costruzione delle grandi opere.  Nel lavoro agricolo a fronte dell’energia ottenuta dai prodotti della terra si ha una spesa energetica in termini di sementi (per le coltivazioni di cui si consumano i semi) ma principalmente in termini di lavoro di uomini e animali.  Abbiamo chiarito che il lavoro incorpora l’energia che il lavoratore consuma in termini di prodotti e servizi.  Nel caso dello schiavo l’energia a disposizione del lavoratore viene minimizzata fornendo un vitto di pura sussistenza e i minimi beni di consumo strettamente necessari a sopravvivere e svolgere le mansioni.  La riduzione dell’input energetico fornito allo schiavo ha come effetto il miglioramento dell’eroei del prodotto agricolo. La Civiltà Latina ci ha lasciato numerosi testi in cui il processo produttivo agricolo è sufficientemente dettagliato da poter calcolare che nei latifondi di età imperiale la produzione energetica sotto forma di granaglie rendeva fino a 5 unità energetiche per ciascuna unità investita.  Per brevità riporterò i calcoli in un successivo articolo in cui stimeremo l’eroei delle fonti energetiche disponibili per diverse civiltà.   La Civiltà Romana dispone in buona sostanza di prodotti agricoli a  costo più basso delle civiltà sue contemporanee, cioè una fonte energetica ad eroei più alto.  Può raccogliere più tributi, dotarsi di migliori infrastrutture e mobilitare eserciti più grandi, migliorando il successo delle campagne militari ed ottenendo nuovi territori (ovvero giacimenti di energia agricola) e altri schiavi per sfruttarla con alte rese.  In tale contesto l’arcaica divisione della società romana tra patrizi e plebei viene sconvolta.  Il ceto patrizio, iniziale beneficiario dei miglioramenti nell’eroei agricolo, mediante la creazione di latifondi condotti con lavoro schiavile, deve fronteggiare le crescenti rivendicazioni, anche violente, della classe plebea che ottiene via via maggiori diritti e tutele giuridiche. La ricchezza proveniente dai tributi viene redistribuita su classi sociali sempre più ampie mediante l’intervento dello stato, che diviene sempre più pervasivo, con distribuzioni gratuite di derrate alimentari al popolino, miglioramento dell’igiene pubblica (terme gratuite ed acqua alle fontane accessibile a tutti), miglioramento della viabilità (strade e ponti senza pedaggio) ed infine svago gratuito per tutti con i giochi circensi e le gare di bighe.  Evidentemente alla classe dominante, che controllava anche le maggiori istituzioni (senato, consolato) costava meno rinunciare ad una parte dei privilegi e delle ricchezze, redistribuite mediante i servizi pagati con i tributi versati dai ceti abbienti allo stato, pur di conservare la pace sociale che sostanzialmente perpetua lo statu quo. Questi vantaggi erano ovviamente riservati ai cittadini romani a spese degli schiavi e delle popolazioni sottomesse, ma è pur vero che nel tempo la cittadinanza romana venne conferita ad un numero sempre maggiore di popoli fino al terzo secolo in cui con l’editto di Caracalla divenne universale. Con il peggioramento delle rese agricole, dovuto al troppo sfruttamento della terra indotto dallo schiavismo “scientifico” ed al depauperamento del manto boschivo su tutto il bacino del Mediterraneo, oltre alla raggiunta impossibilità “geografica” di espandersi su nuovi territori adatti all’agricoltura del tempo, la civiltà romana perse il vantaggio competitivo acquisito (ho trattato la tematica in questo articolo) ed i miglioramenti del tenore di vita ottenuti dalle classi sociali basse si ridussero anche in funzione dell’aumentato numero di popolazioni che ottenevano la cittadinanza, fino ad annullarsi nella servitù curtense che accomunò la grande maggioranza della popolazione dal IV secolo.  Da dati disponibili per l’età altomedioevale si presume che le rese del prodotto agricolo dovettero ridursi.  Dai libri contabili di alcuni conventi di area padana, dunque posizionati in regioni fertili ed adatte all’agricoltura, sembra che le annate fossero considerate buone quando si ottenevano 3 unità a fronte di una investita.  Queste analisi possono avvalorare considerazioni energetiche sul mutato contesto sociale del mondo medioevale rispetto a quello classico.   Il mondo classico, con il supporto di una fonte energetica sfruttata con alto eroei, aveva avviato un percorso di inclusione sociale in cui anche le classi indigenti potevano aspirare ad essere mantenute dall’annona e persino per gli schiavi era definito un percorso verso la libertà e l’inclusione.  Il mondo altomedioevale appare più statico.  Possiede le stesse tecnologie disponibili in epoca classica ma soffre di una mancanza di risorse che rendono incapaci i potentati medioevali di qualsiasi politica redistributiva.  Anzi gli stessi regnanti sono descritti spesso in difficoltà economica per l’incapacità di raccogliere sufficienti tributi e sono sempre in lotta con i loro stessi vassalli i quali non ambiscono altro che ottenere privilegi ed esenzioni.   Il modello economico piramidale di sfruttamento agricolo feudale, basato sulla servitù della gleba è efficiente dal punto di vista dello sfruttamento della base della piramide perchè ciascun servo deve un tributo al signore ed inoltre produrre per la propria sopravvivenza, ma lo è meno nel flusso e nella concentrazione delle risorse verso l’alto sia perchè le risorse sono talmente scarse che vengono assorbite già nei gradini inferiori, vuoi perchè alcuni vassalli potrebbero decidere di intercettare più del dovuto indebolendo i signori del livello superiore e favorendone la frammentazione.  Per quanto concerne le politiche di redistribuzione solamente l’ultimo gradino della piramide feudale è in grado di attuarle quando può (es.concessione di privilegi a città o monasteri), i gradini intermedi non ne hanno alcuna convenienza in quanto subiscono la pressione tributaria dei livelli superiori e possono fronteggiarla tanto più efficacemente quanto maggiormente riescono a concentrare potere e risorse.

Nel corso del medioevo si hanno alcuni avanzamenti tecnologici (quali il miglioramento dell’aratro e la trazione pettorale che permisero arature più profonde e meno costose, la rotazione triennale che ridusse la superficie a riposo dei terreni da 50% a 33%) che consentono di spezzare la struttura feudale: il miglioramento produttivo indotto investe il gradino più alto della piramide con maggiori risorse e permette ai monarchi di disfarsi dei vassalli sostituendoli con burocrati.  E’lo stato assolutistico nazionale che consente la formazione di potenti borghesie produttive e mercantili che da un lato erodono i vecchi privilegi di chiesa e nobili, dall’altro chiedono al monarca minore pressione normativa e fiscale.  Con la scoperta delle Americhe e l’avvio della colonizzazione alcuni stati nazionali si rinforzano talmente da avviare un processo che sfocia nell’ancor più radicale mutamento sociale indotto dalla rivoluzione industriale e dallo sfruttamento dei combustibili fossili ad alto EROEI.  In quasi tre secoli di storia il pianeta è stato letteralmente sconvolto, anche a livello sociale.  L’immensa disponibilità di energia da carbone era nota fin dall’antichità ma vi erano alcune problematiche che avevano impedito lo sviluppo di questa fonte energetica, in primo luogo il carbone superficiale, di facile estrazione non era disponibile ovunque, richiedendo un onerosissimo trasporto, estrarre a maggiore profondità non era possibile (in particolare prima dell’invenzione della pompa e delle lampade di sicurezza le gallerie erano sottoposte ad allagamenti ed esplosioni).  Per tutta l’antichità ed il medioevo la fonte di energia più economica e diffusa fu il legname.  La disponibilità in situ, nonostante il minor potere calorico del legno a parità di massa rispetto al carbone, eliminava la necessità di lunghi trasporti, che come ovvio, oltre certe distanze, annulla il vantaggio del carbone rispetto alla biomassa in termini di eroei.  Le condizioni favorevoli per la nascita della civiltà industriale si verificano in Inghilterra nel XVIII secolo.  La disponibilità di carbone superficiale a breve distanza dal mare o da fiumi navigabili è l’interruttore che ne consente lo sfruttamento, complice anche la diffusa deforestazione che affliggeva l’isola.  Oltre agli usi energetici il legname era infatti sovrautilizzato per la costruzione ed in particolare per le flotte, che dovevano competere, pena la fine dello stato nazionale inglese, con quelle imperiali spagnole e con le olandesi, per tacere delle francesi.  La macchina a vapore con l’applicazione ferroviaria e come pompa della stessa risolve definitivamente le problematiche che impedivano l’utilizzo diffuso del carbone come fonte di energia.   Il carbone poteva essere estratto sempre a maggiori profondità e trasportato al costo di una piccola frazione che veniva consumata per la trazione.  Inoltre consentiva migliori lavorazioni siderurgiche, disponibilità di forza motrice per sostituire in parte e poi sempre più diffusamente la forza lavoro dei campi e negli opifici.  Le macchine, nuove schiave a vapore, abbassano progressivamente il costo di produzione e trasporto di cibo ed altri beni innescando da un lato la riduzione della necessità di forza lavoro agricola e l’inurbamento di grandi masse di ex contadini che trovano impiego nelle nascenti industrie.  L’aumento della popolazione è un chiaro indicatore del miglioramento delle condizioni alimentari e sanitarie.  Le condizioni di lavoro operaio potevano essere dure quanto si vuole, ma l’aumento della popolazione nelle nascenti economie industriali indica che i salari erano sufficienti alla sussistenza delle famiglie ed anche all’accesso a rudimentali presidi sanitari e cure mediche che non erano disponibili a tutti in un contesto dominato da un’economia prevalentemente agricola basata sul lavoro delle braccia.

La presa di coscienza delle masse lavoratrici dello squilibrio tra prodotto creato per i padroni industriali e reddito destinato ai salari innescò una dialettica politica e sociale che con alterne vicende ha consentito il miglioramento delle condizioni economiche delle classi lavoratrici a fronte di lotte e rivendicazioni anche dure e dolorose.   Il miglioramento della tecnologia e lo sfruttamento di fonti energetiche con eroei sempre più alti (il carbone ha eroei tra 80 e 20 in base alla tipologia di miniera, il petrolio ebbe eroei anche intorno ai 100 barili estratti a fronte di una spesa energetica di 1 barile, attestati nei primi giacimenti superficiali nel mid-west USA negli anni ’30) consentì una tale riduzione dei costi di produzione dei beni di consumo che gli stessi industriali reputarono di poter allargare immensamente il bacino di mercato dei propri prodotti rendendoli accessibili ai redditi degli operai (si ricordi il pensiero di H.Ford riguardo al popolare modello Ford T che doveva essere accessibile alle tasche anche del lavoratore Ford meno retribuito).

La trasformazione sociale indotta da tali cambiamenti fu un crerscendo, i paesi sviluppati istituirono i sistemi di welfare come la sanità e le pensioni, tutte volte a redistribuire a tutti i cittadini parte del valore dei beni e servizi prodotti, raccolta tramite tassazione.

Il legame tra accesso a fonti energetiche ad alto eroei e modello sociale “generoso” di redistribuzione basato sul welfare è ancor più manifesto se osserviamo che lo stato ormai permanente di crisi economica, accompagnato da severi tagli del welfare avviene in concomitanza con la riduzione dell’eroei delle nostre fonti energetiche, testimoniato inequivocabilmente dagli stabili aumenti di prezzo dell’energia.  Prezzi guidati verso l’alto anche per indicizzazione a quello del petrolio che essendo la più utilizzata e versatile tra le fonti energetiche (consente trasporti a costo inferiore di tutte le altre fonti) è di riferimento per tutte le fonti di energia ed è anche quella che più rapidamente sta riducendo il suo eroei (oggi stimata tra 20 e 10).

Siamo una civiltà che affronta il declino dell’eroei della sua principale fonte energetica.  Il nostro lavoro vale sempre meno energia, quindi possiamo consumare sempre meno prodotti e servizi a parità di energia incorporata e dunque siamo progressivamente più poveri, l’economia e i consumi ne risentono, il gettito fiscale si riduce ed il welfare lo segue.  Chi possiede il debito si chiede se rientrerà, chi può specula su questo stato di cose.  La conclusione di questa analisi è che dal punto di vista del welfare e della redistribuzione la ricerca di fonti alternative al petrolio è vana se l’eroei di tali fonti non è sufficientemente alto.   Si parla in alcuni studi di eroei minimo di mantenimento della civiltà intorno al 10 ma non si è approfondito quale sarebbe il modello sociale prevalente in una società che si basa su fonti energetiche con tali caratteristiche.  Per quanto qui illustrato il fattore energetico indurrebbe profonde trasformazioni sociali la cui costante sarebbe la proporzionalità tra livello di inclusione e mobilità sociale misurabile con un indice del tipo Gini, e livello di eroei delle risorse energetiche disponibili.  Il modello economico Sogno Americano di benessere e diritti per tutti non è altro che un effetto del poter disporre di 100 barili di petrolio a fronte di uno investito mentre l’incubo del Ritorno al Medioevo altro non è che l’impossibilità di espansione ed inclusione economica per una civiltà che fronteggia un impoverimento delle proprie risorse.

Spesso il declino energetico e dunque economico che sta affliggendo il pianeta viene letto in chiave escatologica come fenomeno positivo che livellerà tutte le iniquità e saremo più poveri ma più felici; si smetterà di utilizzare le automobili ed andremo in bicicletta, mangeremo cibi biologici e non ci saranno più centrali a carbone ma avremo tutti il fotovoltaico sul tetto alla faccia delle major petrolifere e dei grandi distributori di energia elettrica.

La realtà delle cose è certamente più cruda alla luce dell’analisi su eroei e redistribuzione.  Non potrà esistere qualcosa come più poveri ma più felici, e nemmeno il livellamento delle iniquità.

Il sistema economico reagisce all’impoverimento energetico con l’accentramento delle risorse togliendo ai ceti più deboli non solo le risorse economiche ma anche le forze per ribellarsi.  I conflitti sociali volti ad una migliore redistribuzione sono una costante dei periodi di espansione o ripresa economica e sono quasi assenti nei periodi di crisi.  L’aumento del costo dell’energia non significherà l’abbandono della produzione energetica centralizzata a favore della distribuita, ma che essa sarà riservata prevalentemente ai più ricchi e dunque il sogno della distribuzione democratica dell’energia mediante generazione distribuita rimarrà tale poichè sempre più ristrette saranno le classi sociali che potranno permettersi di esercire tali tipi di impianti a mò di status symbol.  Per gli altri ci sarà il carbone o il buio ed il freddo.  Non si abbandoneranno le automobili per l’alto costo del petrolio, saranno riservate alle classi più benestanti ed alimentate con risorse energetiche sempre più costose e distruttive per l’ambiente.  I cibi biologici autoprodotti saranno una bella soddisfazione per chi avrà la disponibilità di terreno.  Per gli altri ammassati nelle città vi saranno cibi ogm o la fame a meno che non si pensi che pochi ettari di verde cittadino adibito ad orti possano sfamare milioni di abitanti.

Noi alla KiteGen stiamo lavorando per scongiurare questo scenario.  Se vinceremo la sfida di rendere disponibile una tecnologia in grado di fornire energia rinnovabile ad alto eroei ed a costo più basso del carbone avremo fornito all’umanità uno strumento per migliorare il proprio livello di benessere ed aspirare ad una migliore redistribuzione senza inquinare l’ambiente in modo insostenibile.  Certo sarà necessario un altissimo livello di consapevolezza ambientale ed ecologica per far si che le generazioni che avranno la disponibilità di un così immenso giacimento di energia nobile non lo sfruttino in modo distorto aumentando la pressione sugli ecosistemi e distruggendo il suolo con nuovo cemento ed asfalto ma, a parte il fatto che questa distruzione sta avvenendo comunque per tentare di mantenere in vita l’attuale insostenibile modello economico, ciò che ci fa sperare positivamente è l’alto eroei con cui è possibile sfruttare la fonte eolica troposferica.   Se il modello eroei/redistribuzione è corretto possiamo ipotizzare una forma di civiltà superiore, altamente consapevole delle dinamiche ecologiche del pianeta, ed in grado di rispettarle poichè può provvedere ai bisogni umani con un impatto ambientale minimo ma approfondiremo questi ragionamenti in un successivo articolo.

(fine parte 2 – continua)

L’accumulo di energia secondo KiteGen

Una, come sempre, ottima analisi di Domenico Coiante fa il punto sulle rinnovabili e le necessità di accumulo giornaliero e stagionale.

Sembra la buona occasione per introdurre e chiarire la opportunità che offre in questo ambito la più grande sorgente in assoluto di energia concentrata disponibile sul pianeta, l’eolico troposferico.

Il grafico qui mostrato proviene dal volume della sezione metodologica dell’atlante dei venti di alta quota di Cristina Archer e Ken Caldeira, si tratta di una rappresentazione sofisticata che esprime una sorta di confronto competitivo o collaborativo tra i possibili sistemi di accumulo tradizionali, e l’opportunità di sfruttare l’accumulo naturale di energia nel regime stazionario del vento geostrofico, con un accorgimento per arrivare ad una disponibilità anche del 99,9%, ovvero 8751 ore l’anno garantite,  nettamente superiore alle fonti termoelettriche tradizionali e al nucleare.

Consiglio di dedicare il tempo sufficiente per decifrarlo sul documento originale poichè le implicazioni sono di estrema importanza. Su questo grafico sono state aggiunte le indicazioni di esempio riferite ad un KiteGen da 3MW nominali per rendere più facilmente comprensibile la logica. Le macchine KiteGen Stem per aderire all’esempio dovrebbero essere equipaggiate con ali di 150 mq con una efficienza aerodinamica equivalente oltre 20. Le ascisse rappresentano la dimensione della batteria di accumulatori rapportata alla dimensione dell’impianto eolico troposferico.

I venti che avvolgono il pianeta possono essere considerati come una colossale “flywheel” di accumulo energetico. L’atmosfera possiede una massa totale di 5 milioni di miliardi di tonnellate, 5*10^18 kg, che scorrono con una velocità media tale da portare il totale dell’energia accumulata a 100.000 TeraWattOra. Per fornire un paragone questa cifra che corrisponde alle attuali necessità energetiche delle attività del genere umano per oltre un anno, ma con il vantaggio che questo imponente accumulo è perennemente ripristinato dalle dinamiche fototermiche di origine solare.

Mentre per il fotovoltaico è necessario dispiegare sul territorio i pannelli che raccolgono minuziosamente l’energia diffusa, il KiteGen invece,  è la presa di forza di questo grande “pannello fotovoltaico fotomeccanico” già naturalmente costituito e mantenuto dall’atmosfera stessa. Questo pannello ha raccolto l’energia in forma cinetica, che è una forma nobile, ed è a disposizione per l’efficiente conversione elettrica.

Su uno specifico sito terrestre, nell’esempio nei pressi di NewYork, il generatore KiteGen può raggiungere e prelevare energia da questo flusso, con la probabilità di trovarlo sufficientemente potente per produrre energia alla potenza nominale  per il 68% del tempo,  un equivalente già strabiliante di circa 6000 ore annue.  Tuttavia vi è una limitazione, che non dipende dal flusso del vento che si affievolisce ma semplicemente dal fatto che cambia ciclicamente ed erraticamente latitudine.

Allora qual’è l’idea che il grafico esprime per spingere l’eolico troposferico fino ad una probabilità  del 95% di disponibilità o addirittura ad un 99,9%?  Abbastanza semplice, sono necessari due generatori dislocati sul territorio ad una distanza sufficiente da averne almeno uno investito dal flusso del vento. I due generatori sono da considerare come un unico sistema che produrrà il doppio del necessario per il 68% del tempo, ma che darà una garanzia di erogazione al valore nominale di uno  (e che ovviamente costeranno il doppio).

Nel grafico viene fatto il confronto con equivalenti ed ipotetici sistemi di accumulo elettrico, per ottenere lo stesso risultato dei due generatori distanziati.

Se assumiamo un costo dell’accumulo elettrochimico di 1 €/Wh, un punto che ho evidenziato nella figura (b) suggerisce 34,5 MWh,  quindi  34,5 milioni di euro per le sole batterie di accumulatori necessarie per assolvere al servizio di portare la disponibilità al 95%:  un costo nell’ordine di grandezza di oltre 10 volte rispetto alla brillante idea di avere una distribuzione sul territorio di generatori troposferici.

Cosa si ricava da queste riflessioni?:

1) l’intermittenza di erogazione che affligge l’eolico convenzionale ed il fotovoltaico può essere brillantemente superata con l’eolico troposferico;  attribuire al termoelettrico l’esclusiva sul baseload non è più corretto.

2)Il bilancio economico di questo impianto doppio può farsi carico in scioltezza della ridondanza dei generatori poichè può contare su 68% + 68% + 32%  ore di disponibilità annua, che corrisponderebbero a 11560 ore/anno  equivalenti.

3) in caso di una sufficiente distribuzione territoriale di farms KiteGen Stem, o di KiteGen Carousel, queste riflessioni perderanno il loro specifico valore, in quanto l’effetto di ridondanza lo si ottiene intrinsecamente.

4) la ridondanza porterebbe ad avere un eccesso di produzione potenziale, ma  i KiteGen sono facilmente e velocemente modulabili mediante un coordinamento centrale, offrendo un preciso adeguamento alla curva di domanda.

5) il grafico si riferisce a NewYork, ma l’influsso orografico di rallentamento si affievolisce con i venti di alta quota, rendendo valido l’esempio per buona parte del globo.

K-Bus e trasporto pubblico elettrico

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By eugenio saraceno, 2012/05/22

Come premesso fin dall’inizio questo blog tratta del KiteGen e di tutte le tecnologie e le tematiche correlate, che potrei riassumere in tutto ciò che consuma energia elettrica rinnovabile a basso costo ovvero lo scenario cui dobbiamo tendere nella realizzazione del progetto KiteGen.  Tra queste si annoverano sicuramente le tecnologie relative al trasporto pubblico elettrico sia su gomma che su ferro (e ricordiamo il convegno del 24/5 sul tram-treno).   Consideriamo di particolare interesse lo sviluppo di veicoli dotati di accumulo mediante supercondensatori a ricarica ultrarapida, una tecnologia brevettata da Sequoia, che prende il nome di Biberonaggio e deriva dallo sviluppo di un buffer utilizzato dal KiteGen durante la fase attiva di produzione per stoccare energia da utilizzare durante la fase passiva di rientro.

Questa tecnologia è di valida applicazione su servizi di bus pubblici (K-Bus) che effettuerebbero la ricarica alle fermate, in 10-15 secondi, mentre i passeggeri salgono e scendono, mediante un dispositivo formato da una “zampa” mobile che automaticamente si accoppia conduttivamente con un “tappeto” posizionato sotto l’area di fermata del bus.  Il posizionamento della zampa e l’attivazione del tappeto (che normalmente è posto a massa per esigenze di sicurezza) sono orchestrate da un sistema automatico che libera l’autista dall’incombenza di gestire l’operazione.  La ricarica conduttiva effettuata mediante questo sistema consente la ricarica ultrarapida, supportata da un altro stoccaggio, sempre costituito da supercondensatori, posto presso il punto di ricarica.  Il sistema è dimensionato in modo che il dispositivo posto alla fermata si ricarichi durante le soste tra i passaggi dei bus e fornisca la ricarica rapida alla vettura per garantire alcuni km di autonomia sfruttando le caratteristiche fisiche del mezzo di accumulo (il supercap non è un accumulo chimico ma un condensatore a tutti gli effetti, in cui la superficie delle armature è estesissima e i tempi di carica e scarica sono quelli tipici dei condensatori, quindi ultrarapidi).  Un pantografo non garantirebbe gli stessi tempi di ricarica.  Altro vantaggio dei supercapacitori è la possibilità di ricaricare anche durante la marcia con l’energia estratta in fase di frenata (regenerative braking).


In figura un confronto tra le varie opzioni di trasporto elettrico disponibili.

Dal punto di vista economico, una simulazione di una linea k-bus servita da 4 mezzi su un tipico percorso urbano mostra un costo di gestione inferiore del 40% rispetto ad un’analoga linea servita da mezzi a ricarica parziale induttiva. Il rafforzamento della performance economica è in buona parte dovuto al fatto che i supercondensatori, contrariamente agli accumulatori elettrochimici come le batterie al litio, non devono essere sostituiti e la loro durata supera abbondantemente il ciclo di vita del mezzo sul quale sono montati, inoltre sono reciclabili e composti principalmente da materie prime molto abbondanti come carbonio e alluminio.


In figura, fatto 100 il costo della mobilità elettrica con batterie elettrochimiche, si pongono a confronto le alternative, anche in relazione all’effetto dell’impatto della mobilità sull’economia. Vedi anche riflessioni su eroei

Le modalità di trasporto pubblico su ferro con pantografo e su gomma con ricarica ultrarapida di supercapacitori non necessariamente vanno in conflitto, anzi potrebbero essere sinergiche come ad esempio per un tram che, a fronte di particolari vincoli, debba interrompere l’alimentazione da pantografo per tratti più o meno lunghi.
In sostanza le due modalità sono compatibili e complementari in un contesto di trasporto regionale integrato in cui il tram treno è preferibile nelle aree centrali o comunque molto urbanizzate in cui l’intensità delle utenze giustifichi l’alto costo dell’infrastruttura oppure per i lunghi percorsi veloci tra grandi e medi centri urbani mentre il K-Bus trova la sua migliore applicazione nel collegare i nodi serviti dal mezzo su ferro con le aree periferiche o i piccoli centri (trasporto extraurbano) oltre che per altri servizi che svolgono percorsi predefiniti come ad es. la raccolta dei rifiuti o taluni tipi di  logistica e di distribuzione.
Per quanto riguarda il trasporto privato con mezzi elettrici non vi è ancora interesse a proporre la tecnologia biberonage almeno finchè l’infrastruttura dedicata al K-Bus non sia talmente capillare da poter effettuare la ricarica anche per l’utente privato  (ad es. ai semafori) e/o la capacità dei supercondensatori non si avvicini a quella tipica delle batterie al piombo di 30 Wh/kg (siamo ancora intorno ai 10 Wh/kg).

I seminari di Kitegen

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By eugenio saraceno, 2012/04/24

Da oggi e per le prossime settimane pubblichiamo i seminari di Kitegen, a cura dell’Ing.Andrea Papini.  I seminari sono un progetto organico di presentazioni multimediali dedicate alla tecnologia Kitegen.  Il primo seminario tratta le prospettive della produzione energetica mondiale ed individua le potenzialità dell’energia eolica d’alta quota.
Per visualizzare la presentazione potrebbe essere necessario installare Adobe Shockwawe

Author: Ing.A.Papini

O Kitegen o barbarie (breve storia energetica della civiltà)


Spero mi perdonerete l’intento ambizioso di questa breve storia energetica della civiltà, ovvero dimostrare che l’ultima speranza per fermare la crisi planetaria e rilanciare l’economia su basi più sane e sostenibili è lo sfruttamento di un nuovo giacimento di energia ad alto EROEI e l’ultimo giacimento con tali caratteristiche è il vento d’alta quota.
Si definisce Energy Return On Energy Investment (EROEI) di una fonte il rapporto tra energia ottenuta dalla fonte ed energia impiegata per estrarla. Vi sono fonti di energia anche più abbondanti del vento di alta quota, come la luce solare ma i sistemi di trasformazione in energia elettrica di tale fonte hanno tipicamente EROEI inferiori a 10 (unità di energia ottenute investendo una unità), più bassi dunque di quelli del petrolio o del gas estratti oggi da giacimenti convenzionali (EROEI tra 10 e 20) o del carbone (tra 80 e 60) vedi articoli su The Oild Drum. Torneremo in un successivo articolo ad approfondire il significato di questi aspetti, non prima di aver fornito un quadro sufficientemente completo del ruolo dell’energia nell’economia.
Sopravviviamo grazie all’energia e tutto ciò che consumiamo o facciamo ha una certa percentuale di energia incorporata (Embodied Energy o Emergy). Il legame tra la quantità di energia che consumiamo ed il nostro stile di vita è evidente; meno evidente ma non meno importante è il legame tra quantità di energia che riusciamo ad ottenere investendo un’unità di energia ed il nostro stile di vita. In buona sostanza i prodotti e i servizi che noi consumiamo accumulano un patrimonio energetico durante le varie fasi della lavorazione e dello smaltimento finale, ma anche durante il consumo stesso. Ad es. il servizio Settimana Bianca contiene sicuramente molta energia (cannoni sparaneve, pasti, servizi climatizzazione albergo, seggiovie) ma anche per essere fruito (viaggio in automobile verso la località). I lavoratori e i capitalisti (es.la proprietà della catena alberghiera) che collaborano alla fruizione della vostra vacanza percepiscono parti del valore del pacchetto vacanza, sotto forma di reddito o profitto che poi ciascuno di essi utilizza per fruire di servizi e prodotti anch’essi contenenti energia. Se ci pensate un pò sopra troverete che tutto contiene energia e se ,come è evidente, il 100% del PIL (che è un dato annuale) non è dedicato alla spesa energetica è solo perchè una buona parte dell’energia che costituisce il vostro prodotto/servizio è stata spesa in anni precedenti al dato PIL attuale (anche molti anni prima, come ad esempio l’energia utilizzata per costruire e manutenere fino ad oggi l’albergo della vostra vacanza, del quale ogni singolo pezzo ha richiesto energia, lavoro umano e capitali per essere prodotto, trasportato ed assemblato in cima alla montagna). Dunque se apparentemente una famiglia media spende solo il 30% del reddito in energia vera e propria (carburanti,elettricità, riscaldamento, cibo) anche l’altro 30% che spende per pagare il mutuo sulla abitazione è una spesa energetica anche se quell’energia non è stata consumata esattamente quest’anno, e non è che le altre spese (es telefonino o abito nuovo) siano esenti dalla onnipresente tassa energetica.
Pertanto, se il vostro reddito è energia, spesa in qualche istante del tempo, risulta chiaro che l’energia spesa per produrre una unità di energia conta ai fini di cosa potete acquistare con il reddito stesso. Più energia (reddito) ci vuole per produrre una unità energetica più reddito sarà necessario per acquistare il prodotto/servizio fatto con quell’energia. E la quantità di energia necessaria per produrre una unità energetica è l’inverso dell’eroei della fonte da cui è estratta quindi maggiore è l’eroei delle fonti a cui avete accesso, maggiore sarà la quantità di consumi che potrete avere con un dato reddito. Questo è il legame tra stile di vita ed eroei. Se una civiltà utilizza percentuali di diverse fonti energetiche l’eroei tipico di tale civiltà si potrebbe misurare con una combinazione lineare pesata delle varie percentuali con gli eroei relativi a ciascuna fonte. Il grado di benessere materiale medio di una civiltà, dopo un congruo numero di anni di sviluppo (ricordiamoci l’energia che si spende anno per anno in infrastrutture) è così legato alla qualità delle fonti energetiche che utilizza in termini di eroei.

(fine parte 1. Continua)

Canali energetici

Questo è il primo di una serie di post in cui cercherò di inquadrare alcune delle più importanti questioni geopolitiche legate all’energia.  Qui in particolare vorrei approfondire il concetto di  sicurezza energetica.   L’impatto di uno sviluppo massivo dello sfruttamento di energia eolica d’alta quota porterebbe ad un sicuro ridimensionamento di tali tematiche in quanto questa forma di energia è ampiamente distribuita e disponibile su tutto il pianeta.

Molte questioni geopolitiche dal dopoguerra ad oggi sono strettamente legate a questioni energetiche,  Per citare alcuni esempi degli ultimi anni le guerre di Cecenia, le tensioni con l’Iran, la questione della Turchia nell’unione europea, le tensioni Russia-Ucraina, la guerra in Afghanistan, quella in Iraq e infine il conflitto libico sono da ricondurre ad uno dei maggiori problemi geopolitici che interessano il pianeta ma in particolar modo la massa terrestre eurasiatica, il problema dei corridoi energetici e della sicurezza degli approvvigionamenti, dove sicurezza non sta solamente a significare non interruzione dell’approvvigionamento ma anche e soprattutto controllo economico e politico sulle risorse energetiche e sui canali preposti a trasferirli dal produttore al consumatore.

I canali energetici per l’approvvigionamento di idrocarburi sono di due tipi: pipeline (oleodotti e gasdotti) e vie marittime (petroliere e metaniere per il trasporto di GNL – gas naturale liquefatto).  Le pipeline richiedono la costruzione ed il mantenimento di una infrastruttura terrestre o sottomarina (un condotto metallico con stazioni di pompaggio che mantengano la pressione e la portata dell’idrocarburo veicolato).  Nel caso di pipeline terrestre uno dei problemi principali è quello dei paesi attraversati cui è dovuta una tariffa di “transito” e che in caso di divergenze in materia di politica internazionale potrebbero ostacolare o interrompere il rifornimento via pipeline.  Per contro l’esistenza stessa di una pipeline garantisce il produttore di avere un mercato assicurato per i propri idrocarburi, e il consumatore che il produttore non abbia convenienza ad interrompere la fornitura per ridirigerla ad altro paese consumatore concorrente, in quanto il produttore stesso ha già investito nell’infrastruttura, e per rifornire un concorrente dovrebbe perdere quanto investito ed inoltre utilizzare ulteriori risorse per costruire una nuova infrastruttura verso il nuovo cliente.  Parimenti al paese consumatore non conviene azzerare i contratti di fornitura pena doversi dotare di nuove infrastrutture.  Si potrebbe inferire che le pipeline “cementano” in qualche modo i rapporti energetici tra paesi fornitori e consumatori.

I canali di approvvigionamento via mare sono caratterizzati lato consumatore dalla presenza di infrastrutture costiere (porti attrezzati, stoccaggi e rigasificatori) e lato produttore da terminali petroliferi e impianti (treni) di liquefazione del gas naturale.  Il trasporto è assicurato da naviglio altamente specializzato: tankers e metaniere.   L’approvvigionamento marittimo è altamente flessibile in quanto l’infrastruttura del produttore non è rigidamente collegata a quella del consumatore e, fatti salvi contratti ed eventuali penali, la fornitura può essere in taluni casi (ad esempio quando esistono forti differenziali di prezzo tra un mercato ed un altro) re diretta su un nuovo cliente disposto a pagare di più.   La sicurezza dei canali di approvvigionamento via mare può essere assicurata o ostacolata da una potenza militare navale.  Attualmente le maggiori potenze navali sono USA e GB, potenze minori, ma importanti a livello regionale sono Russia, Cina, Francia, India.

Per un paese consumatore è essenziale non solo assicurarsi forniture non interrotte, ma anche controllare il canale delle forniture e, possibilmente, anche la risorsa stessa.   L’importanza del controllo del canale contro intuitivamente è maggiore di quella del controllo della risorsa stessa, infatti i canali energetici consentono, in molti casi, di “attirare” le risorse, che non potrebbero essere vendute senza il canale stesso. L’Iran, ad esempio, finché dura l’ostilità con gli USA avrà difficoltà a piazzare le proprie ingenti risorse di gas sia via terra attraverso la Turchia o il Pakistan, paesi vincolati (per la verità sempre meno entusiasti) agli interessi USA, sia via mare in quanto le flotte USA non avrebbero difficoltà a bloccare qualsiasi naviglio iraniano in uscita da Hormuz qualora lo desiderassero. La Russia, per contro, sin dai tempi sovietici, ha realizzato numerose pipeline per rifornire i vicini europei ed incamerare preziosa valuta estera.  Questa ultima necessità ha fatto si che le forniture sovietiche non venissero mai meno agli europei nemmeno negli anni più duri della Guerra Fredda.  L’affidabilità della Russia come fornitore di idrocarburi via pipeline ha spinto l’Unione Europea a ricercare una partnership che può essere vista dagli USA come un pericolo per la propria egemonia planetaria, basata in buona parte sulla capacità di controllare e regolare i mercati energetici e le relative forniture.  Un Europa vincolata energeticamente alla Russia consente di creare a livello regionale euroasiatico una zona di intensi scambi economici fuori dal controllo USA, scambi che possono favorire intese politiche potenzialmente dannose per il ruolo egemonico della superpotenza americana.

Obbiettivo prioritario per la politica USA negli ultimi 20 anni è stato indebolire il ruolo della Russia quale fornitore strategico di idrocarburi ai paesi europei. Dopo aver rilevato che i maggiori giacimenti di gas appartengono a (in ordine di consistenza) Russia, Iran e Qatar,  se si osserva la mappa il confronto strategico tra USA e Russia in questa fase geopolitica viene subito evidenziato, e risulta chiaro anche la ragione per cui l’attività di politica estera americana si sia concentrata sul cercare di attirare nella propria sfera di influenza quei paesi ex sovietici che si trovano lungo i percorsi delle maggiori pipeline dirette in Europa.   La prima direttrice presa di mira dalla strategia statunitense fu quella nord caucasica, che veicolava petrolio dal nord del Caspio verso il Mar Nero e quindi, attraverso il Bosforo, ai mercati del mediterraneo.   L’appoggio degli anglo americani, ai guerriglieri ceceni che rivendicavano l’indipendenza da Mosca attraverso un retroterra logistico appositamente preparato nella vicina Georgia, più che sensibilità per la causa indipendentista denotava l’interesse ad ostacolare il flusso di idrocarburi attraverso quella direttrice che aveva un tratto passante per la Cecenia.  Parallelamente alcune major petrolifere approfittavano della situazione per realizzare, sempre attraverso la Georgia, un nuovo oleodotto sud caucasico, concorrente di quello controllato dai russi e reso insicuro dalla guerra cecena, il BTC, Baku-Tblisi-Cheyan che dalle coste del Caspio veicola il petrolio Azero verso il porto mediterraneo turco di Cheyan.  Il BTC ha una capacità di 1 mln di barili al giorno, sovrabbondante per le esportazioni Azere, il che denota l’intenzione strategica di offrire ad altri paesi rivieraschi del Caspio uno sbocco al mediterraneo che non fosse sotto il controllo russo.  Inoltre il BTC potrebbe essere prolungato agevolmente verso le coste israeliane, consentendo così di soddisfare un’altra priorità strategica USA, sicurizzare l’approvvigionamento energetico di Tel Aviv anche nell’eventualità di un embargo petrolifero da parte di produttori arabi.

I russi non stettero a guardare e ovviarono al problema della sicurezza della pipeline nord caucasica realizzando rapidamente un bypass del tratto ceceno, con la collaborazione dell’italiana ENI, un partner strategico storico dei russi (ma che comunque per non scontentare alcuno ha anche una sua quota di partecipazione al BTC e sostanziose quote azionarie in mani di investitori americani come il fondo Knight Vinke).  In quella stessa regione Gazprom, sempre col concorso di Saipem (gruppo ENI) realizzò l’ardito gasdotto sottomarino Blue Stream che attraverso il Mar Nero connette la rete di pipeline russe con quelle turche aprendo la strada alle ambizioni russe per quanto riguarda la fornitura di gas naturale ai gasdotti in progetto attraverso i Balcani verso il mercato tedesco e italiano.

Sempre il peso delle forniture russe su questi due mercati, con l’aggiunta del terzo in ordine di importanza , quello francese, sembrano essere una delle cause della pressione USA su Ucraina e paesi dell’ex patto di Varsavia, come la Polonia, attraverso i quali transitano i due importanti  gasdotti che riforniscono Germania, Francia ed Italia.   I due paesi di transito sono stati incoraggiati a raffreddare fortemente i rapporti con la Russia, anche se ne dipendono integralmente per le forniture energetiche, in particolare l’Ucraina nel 2006 aveva avviato un contenzioso con i russi tale da provocare consistenti riduzioni delle forniture di gas verso i paesi UE.  La reazione di Tedeschi, Italiani e Francesi, dall’altro capo delle pipeline, denota che i tre grandi consumatori europei si sono sentiti in qualche modo minacciati dalla politica americana, la risposta dei tedeschi è stata la realizzazione di un accordo per la costruzione di un gasdotto sottomarino nel baltico, North Stream, in grado di collegare direttamente Russia e Germania senza paesi di transito; subito dopo  è stato annunciato l’accordo tra italiani, russi e bulgari per la realizzazione di South Stream che analogamente attraverserà il Mar Nero portando il gas russo sulle coste balcaniche della Bulgaria, dalle quali potrà proseguire verso Grecia e Italia, e verso Serbia, Ungheria e paesi di lingua tedesca, senza passare dalla Turchia, cosa che toglierebbe una delle ragioni fondamentali per cui gli europei mantengono in vita il processo di adesione dell’ingombrante vicino turco, che avrebbe così una importante carta in meno da giocare per la propria aspirazione europeista, la carta del transito energetico.  Sarà per questo che per entrare a pieno titolo nel gioco la Turchia potrebbe trattare con gli iraniani per importare gas naturale da dirigere eventualmente in Europa.  La Turchia è infatti il ponte naturale per il gas proveniente dal golfo persico, dove sono concentrate le maggiori riserve di gas non adeguatamente sfruttato del mondo; in particolare i grandi giacimenti di Iran e Qatar, ma anche quelli consistenti di Iraq e Arabia Saudita. L’Iran ha anche incaricato esperti del settore (tra cui la solita Saipem, dotata di apposite navi) di progettare un gasdotto sottomarino a largo del Pakistan per rifornire l’India; anche il Pakistan potrebbe beneficiarne ed essere collegato in cambio dell’appoggio al progetto stesso; questa opportunità energetica ha contribuito negli ultimi anni a migliorare molto la situazione sul fronte delle decennali contese tra le due potenze nucleari del Subcontinente indiano. Questi progetti non possono essere ben visti dagli USA che invece puntano sull’alternativa GNL, i paesi rivieraschi del Golfo dovrebbero, in questa visione, commerciare gas liquefatto, sotto la protezione/supervisione della flotta USA, con i tre grandi mercati; Europa, Nord America ed estremo oriente, il che permetterebbe di uniformare maggiormente i prezzi sui tre mercati.  Della stessa visione fanno parte i produttori come Nigeria e Australia, meno importanti ma utili per bilanciare geograficamente l’offerta di GNL, principalmente verso Europa e Nordamerica la prima e per l’estremo oriente la seconda.  Una Russia più accondiscendente, disposta ad esportare GNL verso il Nord America dando in concessione tutta la filiera dall’upstream al trasporto ad una major occidentale sarebbe stata la ciliegina sulla torta di questo grande progetto energetico e geopolitico cui la politica di Putin fin dal 2001 ha posto un serio ostacolo prima bloccando gli oligarchi eltsiniani filooccidentali che miravano a porre la Yukos sotto il controllo della Exxon Mobil, poi reagendo sempre più ostilmente alle capacità di Washington di manipolare la politica estera di paesi ex sovietici quali la Georgia e l’Ucraina, fino all’intervento militare in Ossezia, in cui le truppe di Mosca si sono attestate ad una distanza tale da poter direttamente minacciare la pipeline BTC.  Tale intervento ha posto le basi per nuovi assestamenti nella regione della ex URSS, ad esempio il crollo della coalizione filo occidentale in Ucraina.  Nei momenti più bui della crisi russa gli unici paesi ex sovietici rimasti vicino a Mosca erano la Bielorussia e l’Armenia. Ancora nel 2005 le repubbliche centroasiatiche dell’Uzbekistan e Kirghizistan  avevano ospitato basi USA che oggi non ci sono più; Fin poco prima del conflitto in Ossezia del 2008 esisteva il GUAM (Georgia-Ucraina-Azerbaijan-Moldavia) una alleanza militare antirussa proiettata fortemente verso la NATO, Dopo la guerra di Ossezia i due principali membri non sembrano più in grado di nuocere alla Russia, la Moldavia e l’Azerbaijan che hanno al proprio interno enclavi indipendentiste simili all’Ossezia: Transnistria e Nagorno Karabak hanno sicuramente preso atto della situazione. Questa tessera completa il mosaico dell’azione russa contro il progetto militar-energetico americano  ma la partita rimane ancora aperta, anche se sembra essersi spostata maggiormente sulle rive del Mediterraneo, altra cerniera dei canali energetici tra Nordafrica ed Europa, dove a seguito di un breve conflitto è stato rimosso il regime libico di Gheddafi, fornitore di idrocarburi per molti paesi europei ma considerato troppo vicino alle posizioni russe in fatto di geopolitica energetica.

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