Questo è il primo di una serie di post in cui cercherò di inquadrare alcune delle più importanti questioni geopolitiche legate all’energia. Qui in particolare vorrei approfondire il concetto di sicurezza energetica. L’impatto di uno sviluppo massivo dello sfruttamento di energia eolica d’alta quota porterebbe ad un sicuro ridimensionamento di tali tematiche in quanto questa forma di energia è ampiamente distribuita e disponibile su tutto il pianeta.
Molte questioni geopolitiche dal dopoguerra ad oggi sono strettamente legate a questioni energetiche, Per citare alcuni esempi degli ultimi anni le guerre di Cecenia, le tensioni con l’Iran, la questione della Turchia nell’unione europea, le tensioni Russia-Ucraina, la guerra in Afghanistan, quella in Iraq e infine il conflitto libico sono da ricondurre ad uno dei maggiori problemi geopolitici che interessano il pianeta ma in particolar modo la massa terrestre eurasiatica, il problema dei corridoi energetici e della sicurezza degli approvvigionamenti, dove sicurezza non sta solamente a significare non interruzione dell’approvvigionamento ma anche e soprattutto controllo economico e politico sulle risorse energetiche e sui canali preposti a trasferirli dal produttore al consumatore.
I canali energetici per l’approvvigionamento di idrocarburi sono di due tipi: pipeline (oleodotti e gasdotti) e vie marittime (petroliere e metaniere per il trasporto di GNL – gas naturale liquefatto). Le pipeline richiedono la costruzione ed il mantenimento di una infrastruttura terrestre o sottomarina (un condotto metallico con stazioni di pompaggio che mantengano la pressione e la portata dell’idrocarburo veicolato). Nel caso di pipeline terrestre uno dei problemi principali è quello dei paesi attraversati cui è dovuta una tariffa di “transito” e che in caso di divergenze in materia di politica internazionale potrebbero ostacolare o interrompere il rifornimento via pipeline. Per contro l’esistenza stessa di una pipeline garantisce il produttore di avere un mercato assicurato per i propri idrocarburi, e il consumatore che il produttore non abbia convenienza ad interrompere la fornitura per ridirigerla ad altro paese consumatore concorrente, in quanto il produttore stesso ha già investito nell’infrastruttura, e per rifornire un concorrente dovrebbe perdere quanto investito ed inoltre utilizzare ulteriori risorse per costruire una nuova infrastruttura verso il nuovo cliente. Parimenti al paese consumatore non conviene azzerare i contratti di fornitura pena doversi dotare di nuove infrastrutture. Si potrebbe inferire che le pipeline “cementano” in qualche modo i rapporti energetici tra paesi fornitori e consumatori.
I canali di approvvigionamento via mare sono caratterizzati lato consumatore dalla presenza di infrastrutture costiere (porti attrezzati, stoccaggi e rigasificatori) e lato produttore da terminali petroliferi e impianti (treni) di liquefazione del gas naturale. Il trasporto è assicurato da naviglio altamente specializzato: tankers e metaniere. L’approvvigionamento marittimo è altamente flessibile in quanto l’infrastruttura del produttore non è rigidamente collegata a quella del consumatore e, fatti salvi contratti ed eventuali penali, la fornitura può essere in taluni casi (ad esempio quando esistono forti differenziali di prezzo tra un mercato ed un altro) re diretta su un nuovo cliente disposto a pagare di più. La sicurezza dei canali di approvvigionamento via mare può essere assicurata o ostacolata da una potenza militare navale. Attualmente le maggiori potenze navali sono USA e GB, potenze minori, ma importanti a livello regionale sono Russia, Cina, Francia, India.
Per un paese consumatore è essenziale non solo assicurarsi forniture non interrotte, ma anche controllare il canale delle forniture e, possibilmente, anche la risorsa stessa. L’importanza del controllo del canale contro intuitivamente è maggiore di quella del controllo della risorsa stessa, infatti i canali energetici consentono, in molti casi, di “attirare” le risorse, che non potrebbero essere vendute senza il canale stesso. L’Iran, ad esempio, finché dura l’ostilità con gli USA avrà difficoltà a piazzare le proprie ingenti risorse di gas sia via terra attraverso la Turchia o il Pakistan, paesi vincolati (per la verità sempre meno entusiasti) agli interessi USA, sia via mare in quanto le flotte USA non avrebbero difficoltà a bloccare qualsiasi naviglio iraniano in uscita da Hormuz qualora lo desiderassero. La Russia, per contro, sin dai tempi sovietici, ha realizzato numerose pipeline per rifornire i vicini europei ed incamerare preziosa valuta estera. Questa ultima necessità ha fatto si che le forniture sovietiche non venissero mai meno agli europei nemmeno negli anni più duri della Guerra Fredda. L’affidabilità della Russia come fornitore di idrocarburi via pipeline ha spinto l’Unione Europea a ricercare una partnership che può essere vista dagli USA come un pericolo per la propria egemonia planetaria, basata in buona parte sulla capacità di controllare e regolare i mercati energetici e le relative forniture. Un Europa vincolata energeticamente alla Russia consente di creare a livello regionale euroasiatico una zona di intensi scambi economici fuori dal controllo USA, scambi che possono favorire intese politiche potenzialmente dannose per il ruolo egemonico della superpotenza americana.
Obbiettivo prioritario per la politica USA negli ultimi 20 anni è stato indebolire il ruolo della Russia quale fornitore strategico di idrocarburi ai paesi europei. Dopo aver rilevato che i maggiori giacimenti di gas appartengono a (in ordine di consistenza) Russia, Iran e Qatar, se si osserva la mappa il confronto strategico tra USA e Russia in questa fase geopolitica viene subito evidenziato, e risulta chiaro anche la ragione per cui l’attività di politica estera americana si sia concentrata sul cercare di attirare nella propria sfera di influenza quei paesi ex sovietici che si trovano lungo i percorsi delle maggiori pipeline dirette in Europa. La prima direttrice presa di mira dalla strategia statunitense fu quella nord caucasica, che veicolava petrolio dal nord del Caspio verso il Mar Nero e quindi, attraverso il Bosforo, ai mercati del mediterraneo. L’appoggio degli anglo americani, ai guerriglieri ceceni che rivendicavano l’indipendenza da Mosca attraverso un retroterra logistico appositamente preparato nella vicina Georgia, più che sensibilità per la causa indipendentista denotava l’interesse ad ostacolare il flusso di idrocarburi attraverso quella direttrice che aveva un tratto passante per la Cecenia. Parallelamente alcune major petrolifere approfittavano della situazione per realizzare, sempre attraverso la Georgia, un nuovo oleodotto sud caucasico, concorrente di quello controllato dai russi e reso insicuro dalla guerra cecena, il BTC, Baku-Tblisi-Cheyan che dalle coste del Caspio veicola il petrolio Azero verso il porto mediterraneo turco di Cheyan. Il BTC ha una capacità di 1 mln di barili al giorno, sovrabbondante per le esportazioni Azere, il che denota l’intenzione strategica di offrire ad altri paesi rivieraschi del Caspio uno sbocco al mediterraneo che non fosse sotto il controllo russo. Inoltre il BTC potrebbe essere prolungato agevolmente verso le coste israeliane, consentendo così di soddisfare un’altra priorità strategica USA, sicurizzare l’approvvigionamento energetico di Tel Aviv anche nell’eventualità di un embargo petrolifero da parte di produttori arabi.
I russi non stettero a guardare e ovviarono al problema della sicurezza della pipeline nord caucasica realizzando rapidamente un bypass del tratto ceceno, con la collaborazione dell’italiana ENI, un partner strategico storico dei russi (ma che comunque per non scontentare alcuno ha anche una sua quota di partecipazione al BTC e sostanziose quote azionarie in mani di investitori americani come il fondo Knight Vinke). In quella stessa regione Gazprom, sempre col concorso di Saipem (gruppo ENI) realizzò l’ardito gasdotto sottomarino Blue Stream che attraverso il Mar Nero connette la rete di pipeline russe con quelle turche aprendo la strada alle ambizioni russe per quanto riguarda la fornitura di gas naturale ai gasdotti in progetto attraverso i Balcani verso il mercato tedesco e italiano.
Sempre il peso delle forniture russe su questi due mercati, con l’aggiunta del terzo in ordine di importanza , quello francese, sembrano essere una delle cause della pressione USA su Ucraina e paesi dell’ex patto di Varsavia, come la Polonia, attraverso i quali transitano i due importanti gasdotti che riforniscono Germania, Francia ed Italia. I due paesi di transito sono stati incoraggiati a raffreddare fortemente i rapporti con la Russia, anche se ne dipendono integralmente per le forniture energetiche, in particolare l’Ucraina nel 2006 aveva avviato un contenzioso con i russi tale da provocare consistenti riduzioni delle forniture di gas verso i paesi UE. La reazione di Tedeschi, Italiani e Francesi, dall’altro capo delle pipeline, denota che i tre grandi consumatori europei si sono sentiti in qualche modo minacciati dalla politica americana, la risposta dei tedeschi è stata la realizzazione di un accordo per la costruzione di un gasdotto sottomarino nel baltico, North Stream, in grado di collegare direttamente Russia e Germania senza paesi di transito; subito dopo è stato annunciato l’accordo tra italiani, russi e bulgari per la realizzazione di South Stream che analogamente attraverserà il Mar Nero portando il gas russo sulle coste balcaniche della Bulgaria, dalle quali potrà proseguire verso Grecia e Italia, e verso Serbia, Ungheria e paesi di lingua tedesca, senza passare dalla Turchia, cosa che toglierebbe una delle ragioni fondamentali per cui gli europei mantengono in vita il processo di adesione dell’ingombrante vicino turco, che avrebbe così una importante carta in meno da giocare per la propria aspirazione europeista, la carta del transito energetico. Sarà per questo che per entrare a pieno titolo nel gioco la Turchia potrebbe trattare con gli iraniani per importare gas naturale da dirigere eventualmente in Europa. La Turchia è infatti il ponte naturale per il gas proveniente dal golfo persico, dove sono concentrate le maggiori riserve di gas non adeguatamente sfruttato del mondo; in particolare i grandi giacimenti di Iran e Qatar, ma anche quelli consistenti di Iraq e Arabia Saudita. L’Iran ha anche incaricato esperti del settore (tra cui la solita Saipem, dotata di apposite navi) di progettare un gasdotto sottomarino a largo del Pakistan per rifornire l’India; anche il Pakistan potrebbe beneficiarne ed essere collegato in cambio dell’appoggio al progetto stesso; questa opportunità energetica ha contribuito negli ultimi anni a migliorare molto la situazione sul fronte delle decennali contese tra le due potenze nucleari del Subcontinente indiano. Questi progetti non possono essere ben visti dagli USA che invece puntano sull’alternativa GNL, i paesi rivieraschi del Golfo dovrebbero, in questa visione, commerciare gas liquefatto, sotto la protezione/supervisione della flotta USA, con i tre grandi mercati; Europa, Nord America ed estremo oriente, il che permetterebbe di uniformare maggiormente i prezzi sui tre mercati. Della stessa visione fanno parte i produttori come Nigeria e Australia, meno importanti ma utili per bilanciare geograficamente l’offerta di GNL, principalmente verso Europa e Nordamerica la prima e per l’estremo oriente la seconda. Una Russia più accondiscendente, disposta ad esportare GNL verso il Nord America dando in concessione tutta la filiera dall’upstream al trasporto ad una major occidentale sarebbe stata la ciliegina sulla torta di questo grande progetto energetico e geopolitico cui la politica di Putin fin dal 2001 ha posto un serio ostacolo prima bloccando gli oligarchi eltsiniani filooccidentali che miravano a porre la Yukos sotto il controllo della Exxon Mobil, poi reagendo sempre più ostilmente alle capacità di Washington di manipolare la politica estera di paesi ex sovietici quali la Georgia e l’Ucraina, fino all’intervento militare in Ossezia, in cui le truppe di Mosca si sono attestate ad una distanza tale da poter direttamente minacciare la pipeline BTC. Tale intervento ha posto le basi per nuovi assestamenti nella regione della ex URSS, ad esempio il crollo della coalizione filo occidentale in Ucraina. Nei momenti più bui della crisi russa gli unici paesi ex sovietici rimasti vicino a Mosca erano la Bielorussia e l’Armenia. Ancora nel 2005 le repubbliche centroasiatiche dell’Uzbekistan e Kirghizistan avevano ospitato basi USA che oggi non ci sono più; Fin poco prima del conflitto in Ossezia del 2008 esisteva il GUAM (Georgia-Ucraina-Azerbaijan-Moldavia) una alleanza militare antirussa proiettata fortemente verso la NATO, Dopo la guerra di Ossezia i due principali membri non sembrano più in grado di nuocere alla Russia, la Moldavia e l’Azerbaijan che hanno al proprio interno enclavi indipendentiste simili all’Ossezia: Transnistria e Nagorno Karabak hanno sicuramente preso atto della situazione. Questa tessera completa il mosaico dell’azione russa contro il progetto militar-energetico americano ma la partita rimane ancora aperta, anche se sembra essersi spostata maggiormente sulle rive del Mediterraneo, altra cerniera dei canali energetici tra Nordafrica ed Europa, dove a seguito di un breve conflitto è stato rimosso il regime libico di Gheddafi, fornitore di idrocarburi per molti paesi europei ma considerato troppo vicino alle posizioni russe in fatto di geopolitica energetica.