L’accumulo di energia secondo KiteGen
Una, come sempre, ottima analisi di Domenico Coiante fa il punto sulle rinnovabili e le necessità di accumulo giornaliero e stagionale.
Sembra la buona occasione per introdurre e chiarire la opportunità che offre in questo ambito la più grande sorgente in assoluto di energia concentrata disponibile sul pianeta, l’eolico troposferico.
Il grafico qui mostrato proviene dal volume della sezione metodologica dell’atlante dei venti di alta quota di Cristina Archer e Ken Caldeira, si tratta di una rappresentazione sofisticata che esprime una sorta di confronto competitivo o collaborativo tra i possibili sistemi di accumulo tradizionali, e l’opportunità di sfruttare l’accumulo naturale di energia nel regime stazionario del vento geostrofico, con un accorgimento per arrivare ad una disponibilità anche del 99,9%, ovvero 8751 ore l’anno garantite, nettamente superiore alle fonti termoelettriche tradizionali e al nucleare.
Consiglio di dedicare il tempo sufficiente per decifrarlo sul documento originale poichè le implicazioni sono di estrema importanza. Su questo grafico sono state aggiunte le indicazioni di esempio riferite ad un KiteGen da 3MW nominali per rendere più facilmente comprensibile la logica. Le macchine KiteGen Stem per aderire all’esempio dovrebbero essere equipaggiate con ali di 150 mq con una efficienza aerodinamica equivalente oltre 20. Le ascisse rappresentano la dimensione della batteria di accumulatori rapportata alla dimensione dell’impianto eolico troposferico.
I venti che avvolgono il pianeta possono essere considerati come una colossale “flywheel” di accumulo energetico. L’atmosfera possiede una massa totale di 5 milioni di miliardi di tonnellate, 5*10^18 kg, che scorrono con una velocità media tale da portare il totale dell’energia accumulata a 100.000 TeraWattOra. Per fornire un paragone questa cifra che corrisponde alle attuali necessità energetiche delle attività del genere umano per oltre un anno, ma con il vantaggio che questo imponente accumulo è perennemente ripristinato dalle dinamiche fototermiche di origine solare.
Mentre per il fotovoltaico è necessario dispiegare sul territorio i pannelli che raccolgono minuziosamente l’energia diffusa, il KiteGen invece, è la presa di forza di questo grande “pannello fotovoltaico fotomeccanico” già naturalmente costituito e mantenuto dall’atmosfera stessa. Questo pannello ha raccolto l’energia in forma cinetica, che è una forma nobile, ed è a disposizione per l’efficiente conversione elettrica.
Su uno specifico sito terrestre, nell’esempio nei pressi di NewYork, il generatore KiteGen può raggiungere e prelevare energia da questo flusso, con la probabilità di trovarlo sufficientemente potente per produrre energia alla potenza nominale per il 68% del tempo, un equivalente già strabiliante di circa 6000 ore annue. Tuttavia vi è una limitazione, che non dipende dal flusso del vento che si affievolisce ma semplicemente dal fatto che cambia ciclicamente ed erraticamente latitudine.
Allora qual’è l’idea che il grafico esprime per spingere l’eolico troposferico fino ad una probabilità del 95% di disponibilità o addirittura ad un 99,9%? Abbastanza semplice, sono necessari due generatori dislocati sul territorio ad una distanza sufficiente da averne almeno uno investito dal flusso del vento. I due generatori sono da considerare come un unico sistema che produrrà il doppio del necessario per il 68% del tempo, ma che darà una garanzia di erogazione al valore nominale di uno (e che ovviamente costeranno il doppio).
Nel grafico viene fatto il confronto con equivalenti ed ipotetici sistemi di accumulo elettrico, per ottenere lo stesso risultato dei due generatori distanziati.
Se assumiamo un costo dell’accumulo elettrochimico di 1 €/Wh, un punto che ho evidenziato nella figura (b) suggerisce 34,5 MWh, quindi 34,5 milioni di euro per le sole batterie di accumulatori necessarie per assolvere al servizio di portare la disponibilità al 95%: un costo nell’ordine di grandezza di oltre 10 volte rispetto alla brillante idea di avere una distribuzione sul territorio di generatori troposferici.
Cosa si ricava da queste riflessioni?:
1) l’intermittenza di erogazione che affligge l’eolico convenzionale ed il fotovoltaico può essere brillantemente superata con l’eolico troposferico; attribuire al termoelettrico l’esclusiva sul baseload non è più corretto.
2)Il bilancio economico di questo impianto doppio può farsi carico in scioltezza della ridondanza dei generatori poichè può contare su 68% + 68% + 32% ore di disponibilità annua, che corrisponderebbero a 11560 ore/anno equivalenti.
3) in caso di una sufficiente distribuzione territoriale di farms KiteGen Stem, o di KiteGen Carousel, queste riflessioni perderanno il loro specifico valore, in quanto l’effetto di ridondanza lo si ottiene intrinsecamente.
4) la ridondanza porterebbe ad avere un eccesso di produzione potenziale, ma i KiteGen sono facilmente e velocemente modulabili mediante un coordinamento centrale, offrendo un preciso adeguamento alla curva di domanda.
5) il grafico si riferisce a NewYork, ma l’influsso orografico di rallentamento si affievolisce con i venti di alta quota, rendendo valido l’esempio per buona parte del globo.
Si aggiunga anche il vantaggio dato da una maggior robustezza di una rete di distribuzione che peschi poca energia da molti punti distribuiti sul territorio rispetto ad una sola grande centrale, sia nucleare che termoelettrica,(anche eolica?).
Scusate, guardando i grafici, mi risulta chiaro che sull’asse y è rappresentata la distanza in km tra i due kitegen, che le linee sono isoenergetiche, ma non riesco a comprendere cosa rappresenta la scala logartimica sull’asse x.
@Marco,
l’asse x rappresenta la dimensione della batteria di accumulatori rapportata alla dimensione dell’impianto eolico, ovvero l’energia specifica da accumulare per ogni metro quadrato di fronte vento produttivo, espressa in kWh.
infatti 11.5 (sull’asse) * 3000 m2 = 34.5 MWh.
Nel caso di una farm KiteGen di 10 macchine la dimensione dell’accumulo per aderire all’esempio dovrebbe essere di 345 MWh
Grazie Ingegnere,
Voglio cercare di comprendere il più possibile
Evvai! Non avevo ancora pensato a questa possibilità di auto-accumulo energetico del KiteGen, insita peraltro nella natura stessa dei venti di alta quota.
ed ora, modalità scherzo (ma non tanto)
…ora manca solo che lo Stem produca a diritto x le ore ipotizzate…
Forza Massimo (e a tutto il team), ci vediamo domenica!
e completo:
…a questo punto ci se ne farebbe quasi un baffo del MagmaGen, delle 16.000 coppie di laghetti, dei grossi accumuli chimici con batterie…
e quindi, nuovo
L’affermazione della soluzione: “Abbastanza semplice, sono necessari due generatori dislocati sul territorio ad una distanza sufficiente da averne almeno uno investito dal flusso del vento” non mi convince per i seguenti motivi:
1) noi non siamo i “signori del vento”, per cui non abbiamo la certezza “assoluta” che quando il vento non c’è da una parte, ci sarà dall’altra;
2) se ho compreso il principio di funzionamento, la produzione è “meccanica”, cioè l’aquilone via via si innalza e/o allontana dalla base, ed il cavo fa muovere un generatore. Ad un certo punto, occorre “riavvolgere” la vela, riportarla in basso ed in questa fase non c’è produzione di energia, anzi, c’è consumo. A parte questo, il problema ai fini della continuità è che se il vento c’è solo nella località dove la vela in quel momento è nella fase di ritorno, la continuità produttiva non c’è
3) dai punti sopra ne deriva che difficilmente si può fare conto su una continuità produttiva con solo due vele, probabile ne occorra almeno una terza o quarta (e comunque esiste sempre, anche con 10.000 vele, la possibilità statistica che in certi momenti non ci sia produzione), il che aumenta i costi in proporzione, sia per le strutture in sé, sia per l’insieme delle infrastrutture che servono a tenere collegate e coordinate le produzioni delle varie vele situate a diversi km o peggio migliaia di km di distanza. La soluzione “di riserva” per poter gestire con 2 sole vele, è quella di accumulare in qualche modo l’energia prodotta in eccesso, per immetterla nei periodi di “bonaccia”, quindi, tipicamente, batterie…
Preciso che non ho conoscenze tecniche ingegneristiche o simili, capisco quasi niente di formule e fisica, anche se comprendo come funziona un ingranaggio…
saluti
Caro Osvaldo,
è singolare leggere le sue perplessità su una materia prettamente ingegneristica quando lei stesso ammette di non comprendere la fisica e l’ingegneria. Se le interessa approfondire la tematica consiglierei di visitare le nostre presentazioni didattiche http://kitegen.com/i-webinar-di-kitegen/
Egregio Ingegnere,
alla pagina linkata dei webinar trovo delle difficoltà, può darsi sia un problema del mio PC/browser, comunque il webinar D (Dettagli sul ciclo Yo-Yo) mi dà questo messaggio
Not Found
Sorry, you are looking for something that isn’t here.
l’E è Protected Password, così l’F ed il G.
Sono al lavoro, a casa proverò con più calma se è un problema del PC, e vedrò i webinar “accessibili”.
A parte quanto sopra, il fatto che non sia del campo ingegneristico, non vuole dire che non sia in grado di comprendere una spiegazione datami in “italiano divulgativo”, come fa Superquark per dire. In effetti non mi pare di avere posto domande su dettagli fisico/quantistici, ma questioni “concrete” a cui se vuole può anche rispondere, in breve, partendo da quella più semplice: come si garantisce la continuità produttiva quando una vela non ha vento e l’altra è in riavvolgimento? Batterie? Grazie. Saluti
@Osvaldo
Lei ha ragione, mi scuso per averle risposto frettolosamente tra l’altro rimandandola ad un link non funzionante (che ho corretto). In questi giorni, con la vicenda alcoa, abbiamo poco tempo per fornire dettagli sulla tecnologia qui sul blog.
Il problema della continuità della fornitura esiste ma è stato risolto con un’architettura basata su una controllistica di tipo orchestrator ed uno stoccaggio basato su supercondensatori. Si potrebbe spiegare con un paio di esempi:
Nel caso di un solo stem il ciclo yo-yo prevede una fase attiva in cui viene prodotte energia, di cui una parte viene immagazinata in un supercondensatore, una batteria non chimica ma fisica, basata sul principio del condensatore ma capace di accumulare cariche molto importanti e di compiere milioni di cicli, dove le batterie sopporterebbero poche centinaia o migliaia di cicli. Questo accumulo è dimensionato per consentire di fornire sia l’energia per il riavvolgimento dei cavi, sia per continuare ad alimentare la rete durante la fase passiva. Il vento di alta quota è molto diverso da quello a bassa quota, non presenta turbolenze o intermittenze ad alta frequenza, può accadere che in alcuni intervalli di tempo la potenza disponibile diminuisca, in tal caso il kitegen produrrà sotto la potenza nominale oppure salirà di quota (dove possibile) per trovare venti meno deboli. Per conoscere la probabilità di avere venti deboli in quota si utilizzano le velocità medie del vento che vengono calcolate dai servizi climatologici come il NOAA americano. Maggiore è la velocità media del vento in una data regione ad una data quota, maggiore sarà il numero di ore in cui il vento sarà sufficiente per far volare le vele.
Nel caso di farm con più stem, oltre a quanto descritto in merito all’accumulo da supercondensatori, subentra la capacità del controllo di sistema di far volare le vele in tempi sfasati, ovvero quando una vela è in riavvolgimento tutte le altre sono in produzione. Ciò è possibile in quanto la durata della fase attiva è molto maggiore del riavvolgimento, quindi le vele fanno i ‘turni’ dirette da un calcolatore che fa da ‘direttore d’orchestra’
Saluti
Eugenio
PS
alcuni seminar sono ancora protetti da password perchè dobbiamo ancora pubblicarli qui sul blog. Chi avesse fretta di visionarli può richiedere la password a eugeniosaraceno@gmail.com
Per un corretto funzionamento dei seminar è necessario installare adobe shockwawe
Infine, sul comportamento dei venti d’alta quota, consiglio di esaminare il paper di C.Archer
http://www.mdpi.com/1996-1073/2/2/307/s1