Successo dell’OPEN DAY KiteGen

A grande richiesta pubblichiamo una sintesi multimediale dell’open day KiteGen del 13/05/12. La partecipazione e la curiosità dei numerosi intervenuti è stata premiata con una demo di volo particolarmente ben riuscita, tanto che abbiamo deciso di pubblicarne le fasi più salienti in un video

L’importanza dell’open day risiede appunto nella possibilità di mostrare dal vivo gli avanzamenti dello stato dell’arte che, in questa fase di test dedicato al volo ed alle performance delle vele, si risolve anche in spettacolari dimostrazioni di come il braccio robotico del kitegen, ormai completo perchè dotato della sua mano unitamente alle migliorie apportate alle vele, riesca a far decollare e volare in modo semiautomatico il kite.
Nella demo mostrata  la maggior parte dei movimenti che si vedono fare alla macchina (stem + compasso) erano completamente automatici, (per chi ha nozioni di controlli automatici erano retroazionati, dai sensori presenti nel braccio, nel compasso e nella struttura). Ciò che era manuale, e che altrimenti non poteva essere senza l’elettronica a bordo ala, temporaneamente indisponibile,  era il controllo dei tamburi e di conseguenza delle funi e della vela. La vela è infatti dotata in particolare dei sensori che misurano la posizione e la velocità della stessa e la trasmettono all’elaboratore che, ponendole a confronto con una traiettoria obbiettivo, aziona le funi secondo una funzione che può essere proporzionale e/o derivativa e/o integrale allo scopo di correggere gli errori rilevati rispetto alla traiettoria stessa. Al successivo passo di elaborazione, la nuova misura inviata dai sensori, su cui avranno influito le azioni meccaniche attuate dalle funi al precedente passo, viene analizzata e produce una nuova correzione fino al convergere a zero dell’errore. Si tratta in genere di cicli elaborativi dell’ordine dei millisecondi. Questo è in termini estremamente semplificati il concetto di retroazione o feedback alla base di ogni tecnologia di  automazione e robotica.
C’è ancora del lavoro da fare per rendere completamente automatico il volo, che richiede ancora alcune attività manuali, a cui i nostri ospiti hanno assistito, ma l’ottimo lavoro fatto sul software di gestione del decollo dai nostri progettisti Paolo Marchetti e Angelo Conte ci consente di essere confidenti sul buon esito a breve del pacchetto “decollo automatico”.
Intuirete che il prossimo passo sarà aumentare la potenza estratta dal vento aumentando le performance del kite.
L’open day è stato anche dedicato a presentare l’attività di SOTER s.r.l., realtà esclusivammente dedicata al supporto del progetto KiteGen. Presso la sede di Sequoia Automation a Chieri, Riccardo Renna ha illustrato ai presenti, le attività di SOTER riscuotendo notevole interesse.

Nella foto il nutrito gruppo di ospiti del primo Open Day KiteGen realizzato con la collaborazione di SOTER

OPEN DAY KiteGen

Domenica 13 maggio 2012 si terrà il Primo OPEN DAY Kitegen organizzato in collaborazione con SOTER, Società per la Transizione alle Energie Rinnovabili.
SOTER srl nasce nel 2011 unicamente per supportare il progetto Kitegen e riunisce già numerosi soci che stanno dando supporto economico e professionale.

La giornata OPEN DAY consentirà a tutti coloro che sono interessati a supportare il progetto Kitegen, o anche solo a saperne di più, di poter conoscere lo stato dell’arte e toccare con mano la tecnologia grazie ad una visita al test plant dove i progettisti risponderanno anche alle domande ed alle curiosità dei visitatori. L’invito è rivolto in particolare a tutti coloro che, di fronte all’emergenza energetica, al riscaldamento globale e alla crisi economica, sentono il valore modiale e l’importanza per l’ambiente e per il mondo della transizione alle energie rinnovabili e sono disposti a farsene carico personalmente.

Vi attendiamo per l’OPEN DAY, l’incontro si terrà nella sola mattinata con l’eventuale possibilità di proseguire l’incontro dalle 13 in poi A PRANZO per chi non farà rientro immediato nella propria sede. qui sotto trovate il programma dettagliato dell’evento.

Ore 9.15/9.30 Inizio presentazione progetto in sede a Chieri (TO) Via XXV Aprile 8

Ore 10.30/11 Termine presentazione

40’ di trasferimento per recarsi sul sito del test plant

Ore 11.00/11.30 Visita al sito. Domande/risposte

Ore 13.00 Termine visita e proseguimento libero

Per ulteriori informazioni

011 9415745

348 0194810

Compasso

Scritto da Igor Sabetti

progettista elettromeccanico del team KiteGen

L’ultimo componente del kitegen stem realizzato è il cosiddetto compasso,  una “mano” robotica che ha la funzione di tenere divaricati i cavi che controllano la vela, facilitando le manovre di decollo e rientro.

Per comprendere la funzionalità del “compasso” dobbiamo fare un passo indietro e capire il funzionamento del kitesurf e/o kiteboarding.

Il kitesurfing (o kitesurf o kiteboarding) è uno sport acquatico, di recente invenzione (1999), nato come variante del surf; consiste nel farsi trascinare da un aquilone ( “kite” in inglese), che usa la potenza del vento come propulsore e che viene manovrato attraverso una “barra di controllo” (boma), collegata al kite da sottili cavi (due o quattro) di dyneema o spectra detti “linee” e lunghi tra i 22 e i 27 m. Il kitesurfing richiede inoltre l’utilizzo di una tavola per solcare il mare. (Tratto da Wikipedia)

Il “compasso”, soprannominato così perché le due lunghe antenne che si aprono e chiudono ricordano la forma del compasso da disegno tecnico, emula il movimento delle due braccia umane per richiamare le funi di manovra. Le due funi nella foto verso il bordo d’attacco (leading edge) sono quelle di potenza mentre quelle posteriori sono per la frenata che in gergo si chiama depowering. Nel sistema KiteGen non sono presenti le funi di depowering poichè il ciclo di funzionamento prevede una fase attiva in cui il kite raggiunge la massima quota operativa compiendo delle evoluzioni a forma di otto rovesciato, ed una fase passiva in cui ritirando un solo cavo la vela assume un assetto “a bandiera” e ritorna alla quota minima con il minimo dispendio energetico per ricominciare poi il ciclo. Per maggiori dettagli sul ciclo di produzione è consigliabile visionare il filmato qui sotto, in cui la manovra di scivolata appare al minuto 2.

La barra di manovra può essere unita, nel caso di kite per trazione con le due funi di controllo fissate agli estremi mentre la terza linea di traino l’attraversa al centro per mezzo di un foro, come separata per piccoli kite.

In linea di massima, similmente alla bicicletta, tirando la fune destra per mezzo della barra il kite va a destra e viceversa.
In questo link è spiegata bene la funzione della barra di controllo:

Il compasso è un elemento fondamentale per manovrare il kite in fase di decollo ed atterraggio. Successivamente la sua presenza diventa impercettibile.
In assenza del compasso, quando il kite è appeso, in fase iniziale tende a compiere diversi twist (ovvero le funi si attorcigliano) rendendo impraticabile la manovra di decollo.

Ognuna delle antenne in Kevlar/carbonio con anelli passanti in ceramica, è sensorizzata su 2 assi ovvero per il tiro della fune che l’attraversa sia in verticale che orizzontale.
Due motori posti alla base dello stem governano le leve di azionamento delle antenne per mezzo di lunghi bowden (simili alle funi in acciaio e guaina dei freni di bibicletta) di tipo push-pull governati dal software.

Dato che è impossibile riuscire a opporsi alla forza del vento senza danneggiare gli organi meccanici questi ultimi assecondano la “volontà” del vento posizionandosi linearmente al tiro della fune oltre un certo range di potenza. Il sistema in fase di test preliminare è visibile nel video allegato.

In fase di atterraggio il sistema divarica nuovamente le antenne agevolando la stabilità del kite.

In fase di decollo il compasso rimane aperto incoraggiando l’aria ad incanalarsi nel kite e successivamente si chiude con estrema velocità. Se il vento non è eccessivo il presidio software può lasciare mezze aperte le antenne o una aperta ed una chiusa.

Similarmente alle braccia oltre che determinare/rilevare la posizione del kite può aiutare con degli impulsi al sollevamento dello stesso. Per esperienza personale posso dire che chiudendo gli occhi per qualche secondo sono riuscito a far compiere degli “8” rovesciati al kite solo sentendo la forza applicata alle funi. Allo stesso modo i recettori tattili delle antenne si comportano come le “vibrisse” dei gatti.

Il compasso che vedete in queste immagini ha avuto una progettazione abbastanza controversa essendo giunto ormai alla 5° versione le cui prestazioni sono finalmente accettabili.   Nel corso dei test una serie di idee e soluzioni tecniche è stata via via scartata avvicinandosi sempre più allo strumento idealizzato da M. Ippolito e riprodotto nell’ormai celebre modellino presentato in varie occasioni.

I seminari di Kitegen

comments Comments Off
By eugenio saraceno, 2012/04/24

Da oggi e per le prossime settimane pubblichiamo i seminari di Kitegen, a cura dell’Ing.Andrea Papini.  I seminari sono un progetto organico di presentazioni multimediali dedicate alla tecnologia Kitegen.  Il primo seminario tratta le prospettive della produzione energetica mondiale ed individua le potenzialità dell’energia eolica d’alta quota.
Per visualizzare la presentazione potrebbe essere necessario installare Adobe Shockwawe

Author: Ing.A.Papini

O Kitegen o barbarie (breve storia energetica della civiltà)


Spero mi perdonerete l’intento ambizioso di questa breve storia energetica della civiltà, ovvero dimostrare che l’ultima speranza per fermare la crisi planetaria e rilanciare l’economia su basi più sane e sostenibili è lo sfruttamento di un nuovo giacimento di energia ad alto EROEI e l’ultimo giacimento con tali caratteristiche è il vento d’alta quota.
Si definisce Energy Return On Energy Investment (EROEI) di una fonte il rapporto tra energia ottenuta dalla fonte ed energia impiegata per estrarla. Vi sono fonti di energia anche più abbondanti del vento di alta quota, come la luce solare ma i sistemi di trasformazione in energia elettrica di tale fonte hanno tipicamente EROEI inferiori a 10 (unità di energia ottenute investendo una unità), più bassi dunque di quelli del petrolio o del gas estratti oggi da giacimenti convenzionali (EROEI tra 10 e 20) o del carbone (tra 80 e 60) vedi articoli su The Oild Drum. Torneremo in un successivo articolo ad approfondire il significato di questi aspetti, non prima di aver fornito un quadro sufficientemente completo del ruolo dell’energia nell’economia.
Sopravviviamo grazie all’energia e tutto ciò che consumiamo o facciamo ha una certa percentuale di energia incorporata (Embodied Energy o Emergy). Il legame tra la quantità di energia che consumiamo ed il nostro stile di vita è evidente; meno evidente ma non meno importante è il legame tra quantità di energia che riusciamo ad ottenere investendo un’unità di energia ed il nostro stile di vita. In buona sostanza i prodotti e i servizi che noi consumiamo accumulano un patrimonio energetico durante le varie fasi della lavorazione e dello smaltimento finale, ma anche durante il consumo stesso. Ad es. il servizio Settimana Bianca contiene sicuramente molta energia (cannoni sparaneve, pasti, servizi climatizzazione albergo, seggiovie) ma anche per essere fruito (viaggio in automobile verso la località). I lavoratori e i capitalisti (es.la proprietà della catena alberghiera) che collaborano alla fruizione della vostra vacanza percepiscono parti del valore del pacchetto vacanza, sotto forma di reddito o profitto che poi ciascuno di essi utilizza per fruire di servizi e prodotti anch’essi contenenti energia. Se ci pensate un pò sopra troverete che tutto contiene energia e se ,come è evidente, il 100% del PIL (che è un dato annuale) non è dedicato alla spesa energetica è solo perchè una buona parte dell’energia che costituisce il vostro prodotto/servizio è stata spesa in anni precedenti al dato PIL attuale (anche molti anni prima, come ad esempio l’energia utilizzata per costruire e manutenere fino ad oggi l’albergo della vostra vacanza, del quale ogni singolo pezzo ha richiesto energia, lavoro umano e capitali per essere prodotto, trasportato ed assemblato in cima alla montagna). Dunque se apparentemente una famiglia media spende solo il 30% del reddito in energia vera e propria (carburanti,elettricità, riscaldamento, cibo) anche l’altro 30% che spende per pagare il mutuo sulla abitazione è una spesa energetica anche se quell’energia non è stata consumata esattamente quest’anno, e non è che le altre spese (es telefonino o abito nuovo) siano esenti dalla onnipresente tassa energetica.
Pertanto, se il vostro reddito è energia, spesa in qualche istante del tempo, risulta chiaro che l’energia spesa per produrre una unità di energia conta ai fini di cosa potete acquistare con il reddito stesso. Più energia (reddito) ci vuole per produrre una unità energetica più reddito sarà necessario per acquistare il prodotto/servizio fatto con quell’energia. E la quantità di energia necessaria per produrre una unità energetica è l’inverso dell’eroei della fonte da cui è estratta quindi maggiore è l’eroei delle fonti a cui avete accesso, maggiore sarà la quantità di consumi che potrete avere con un dato reddito. Questo è il legame tra stile di vita ed eroei. Se una civiltà utilizza percentuali di diverse fonti energetiche l’eroei tipico di tale civiltà si potrebbe misurare con una combinazione lineare pesata delle varie percentuali con gli eroei relativi a ciascuna fonte. Il grado di benessere materiale medio di una civiltà, dopo un congruo numero di anni di sviluppo (ricordiamoci l’energia che si spende anno per anno in infrastrutture) è così legato alla qualità delle fonti energetiche che utilizza in termini di eroei.

(fine parte 1. Continua)

Canali energetici

Questo è il primo di una serie di post in cui cercherò di inquadrare alcune delle più importanti questioni geopolitiche legate all’energia.  Qui in particolare vorrei approfondire il concetto di  sicurezza energetica.   L’impatto di uno sviluppo massivo dello sfruttamento di energia eolica d’alta quota porterebbe ad un sicuro ridimensionamento di tali tematiche in quanto questa forma di energia è ampiamente distribuita e disponibile su tutto il pianeta.

Molte questioni geopolitiche dal dopoguerra ad oggi sono strettamente legate a questioni energetiche,  Per citare alcuni esempi degli ultimi anni le guerre di Cecenia, le tensioni con l’Iran, la questione della Turchia nell’unione europea, le tensioni Russia-Ucraina, la guerra in Afghanistan, quella in Iraq e infine il conflitto libico sono da ricondurre ad uno dei maggiori problemi geopolitici che interessano il pianeta ma in particolar modo la massa terrestre eurasiatica, il problema dei corridoi energetici e della sicurezza degli approvvigionamenti, dove sicurezza non sta solamente a significare non interruzione dell’approvvigionamento ma anche e soprattutto controllo economico e politico sulle risorse energetiche e sui canali preposti a trasferirli dal produttore al consumatore.

I canali energetici per l’approvvigionamento di idrocarburi sono di due tipi: pipeline (oleodotti e gasdotti) e vie marittime (petroliere e metaniere per il trasporto di GNL – gas naturale liquefatto).  Le pipeline richiedono la costruzione ed il mantenimento di una infrastruttura terrestre o sottomarina (un condotto metallico con stazioni di pompaggio che mantengano la pressione e la portata dell’idrocarburo veicolato).  Nel caso di pipeline terrestre uno dei problemi principali è quello dei paesi attraversati cui è dovuta una tariffa di “transito” e che in caso di divergenze in materia di politica internazionale potrebbero ostacolare o interrompere il rifornimento via pipeline.  Per contro l’esistenza stessa di una pipeline garantisce il produttore di avere un mercato assicurato per i propri idrocarburi, e il consumatore che il produttore non abbia convenienza ad interrompere la fornitura per ridirigerla ad altro paese consumatore concorrente, in quanto il produttore stesso ha già investito nell’infrastruttura, e per rifornire un concorrente dovrebbe perdere quanto investito ed inoltre utilizzare ulteriori risorse per costruire una nuova infrastruttura verso il nuovo cliente.  Parimenti al paese consumatore non conviene azzerare i contratti di fornitura pena doversi dotare di nuove infrastrutture.  Si potrebbe inferire che le pipeline “cementano” in qualche modo i rapporti energetici tra paesi fornitori e consumatori.

I canali di approvvigionamento via mare sono caratterizzati lato consumatore dalla presenza di infrastrutture costiere (porti attrezzati, stoccaggi e rigasificatori) e lato produttore da terminali petroliferi e impianti (treni) di liquefazione del gas naturale.  Il trasporto è assicurato da naviglio altamente specializzato: tankers e metaniere.   L’approvvigionamento marittimo è altamente flessibile in quanto l’infrastruttura del produttore non è rigidamente collegata a quella del consumatore e, fatti salvi contratti ed eventuali penali, la fornitura può essere in taluni casi (ad esempio quando esistono forti differenziali di prezzo tra un mercato ed un altro) re diretta su un nuovo cliente disposto a pagare di più.   La sicurezza dei canali di approvvigionamento via mare può essere assicurata o ostacolata da una potenza militare navale.  Attualmente le maggiori potenze navali sono USA e GB, potenze minori, ma importanti a livello regionale sono Russia, Cina, Francia, India.

Per un paese consumatore è essenziale non solo assicurarsi forniture non interrotte, ma anche controllare il canale delle forniture e, possibilmente, anche la risorsa stessa.   L’importanza del controllo del canale contro intuitivamente è maggiore di quella del controllo della risorsa stessa, infatti i canali energetici consentono, in molti casi, di “attirare” le risorse, che non potrebbero essere vendute senza il canale stesso. L’Iran, ad esempio, finché dura l’ostilità con gli USA avrà difficoltà a piazzare le proprie ingenti risorse di gas sia via terra attraverso la Turchia o il Pakistan, paesi vincolati (per la verità sempre meno entusiasti) agli interessi USA, sia via mare in quanto le flotte USA non avrebbero difficoltà a bloccare qualsiasi naviglio iraniano in uscita da Hormuz qualora lo desiderassero. La Russia, per contro, sin dai tempi sovietici, ha realizzato numerose pipeline per rifornire i vicini europei ed incamerare preziosa valuta estera.  Questa ultima necessità ha fatto si che le forniture sovietiche non venissero mai meno agli europei nemmeno negli anni più duri della Guerra Fredda.  L’affidabilità della Russia come fornitore di idrocarburi via pipeline ha spinto l’Unione Europea a ricercare una partnership che può essere vista dagli USA come un pericolo per la propria egemonia planetaria, basata in buona parte sulla capacità di controllare e regolare i mercati energetici e le relative forniture.  Un Europa vincolata energeticamente alla Russia consente di creare a livello regionale euroasiatico una zona di intensi scambi economici fuori dal controllo USA, scambi che possono favorire intese politiche potenzialmente dannose per il ruolo egemonico della superpotenza americana.

Obbiettivo prioritario per la politica USA negli ultimi 20 anni è stato indebolire il ruolo della Russia quale fornitore strategico di idrocarburi ai paesi europei. Dopo aver rilevato che i maggiori giacimenti di gas appartengono a (in ordine di consistenza) Russia, Iran e Qatar,  se si osserva la mappa il confronto strategico tra USA e Russia in questa fase geopolitica viene subito evidenziato, e risulta chiaro anche la ragione per cui l’attività di politica estera americana si sia concentrata sul cercare di attirare nella propria sfera di influenza quei paesi ex sovietici che si trovano lungo i percorsi delle maggiori pipeline dirette in Europa.   La prima direttrice presa di mira dalla strategia statunitense fu quella nord caucasica, che veicolava petrolio dal nord del Caspio verso il Mar Nero e quindi, attraverso il Bosforo, ai mercati del mediterraneo.   L’appoggio degli anglo americani, ai guerriglieri ceceni che rivendicavano l’indipendenza da Mosca attraverso un retroterra logistico appositamente preparato nella vicina Georgia, più che sensibilità per la causa indipendentista denotava l’interesse ad ostacolare il flusso di idrocarburi attraverso quella direttrice che aveva un tratto passante per la Cecenia.  Parallelamente alcune major petrolifere approfittavano della situazione per realizzare, sempre attraverso la Georgia, un nuovo oleodotto sud caucasico, concorrente di quello controllato dai russi e reso insicuro dalla guerra cecena, il BTC, Baku-Tblisi-Cheyan che dalle coste del Caspio veicola il petrolio Azero verso il porto mediterraneo turco di Cheyan.  Il BTC ha una capacità di 1 mln di barili al giorno, sovrabbondante per le esportazioni Azere, il che denota l’intenzione strategica di offrire ad altri paesi rivieraschi del Caspio uno sbocco al mediterraneo che non fosse sotto il controllo russo.  Inoltre il BTC potrebbe essere prolungato agevolmente verso le coste israeliane, consentendo così di soddisfare un’altra priorità strategica USA, sicurizzare l’approvvigionamento energetico di Tel Aviv anche nell’eventualità di un embargo petrolifero da parte di produttori arabi.

I russi non stettero a guardare e ovviarono al problema della sicurezza della pipeline nord caucasica realizzando rapidamente un bypass del tratto ceceno, con la collaborazione dell’italiana ENI, un partner strategico storico dei russi (ma che comunque per non scontentare alcuno ha anche una sua quota di partecipazione al BTC e sostanziose quote azionarie in mani di investitori americani come il fondo Knight Vinke).  In quella stessa regione Gazprom, sempre col concorso di Saipem (gruppo ENI) realizzò l’ardito gasdotto sottomarino Blue Stream che attraverso il Mar Nero connette la rete di pipeline russe con quelle turche aprendo la strada alle ambizioni russe per quanto riguarda la fornitura di gas naturale ai gasdotti in progetto attraverso i Balcani verso il mercato tedesco e italiano.

Sempre il peso delle forniture russe su questi due mercati, con l’aggiunta del terzo in ordine di importanza , quello francese, sembrano essere una delle cause della pressione USA su Ucraina e paesi dell’ex patto di Varsavia, come la Polonia, attraverso i quali transitano i due importanti  gasdotti che riforniscono Germania, Francia ed Italia.   I due paesi di transito sono stati incoraggiati a raffreddare fortemente i rapporti con la Russia, anche se ne dipendono integralmente per le forniture energetiche, in particolare l’Ucraina nel 2006 aveva avviato un contenzioso con i russi tale da provocare consistenti riduzioni delle forniture di gas verso i paesi UE.  La reazione di Tedeschi, Italiani e Francesi, dall’altro capo delle pipeline, denota che i tre grandi consumatori europei si sono sentiti in qualche modo minacciati dalla politica americana, la risposta dei tedeschi è stata la realizzazione di un accordo per la costruzione di un gasdotto sottomarino nel baltico, North Stream, in grado di collegare direttamente Russia e Germania senza paesi di transito; subito dopo  è stato annunciato l’accordo tra italiani, russi e bulgari per la realizzazione di South Stream che analogamente attraverserà il Mar Nero portando il gas russo sulle coste balcaniche della Bulgaria, dalle quali potrà proseguire verso Grecia e Italia, e verso Serbia, Ungheria e paesi di lingua tedesca, senza passare dalla Turchia, cosa che toglierebbe una delle ragioni fondamentali per cui gli europei mantengono in vita il processo di adesione dell’ingombrante vicino turco, che avrebbe così una importante carta in meno da giocare per la propria aspirazione europeista, la carta del transito energetico.  Sarà per questo che per entrare a pieno titolo nel gioco la Turchia potrebbe trattare con gli iraniani per importare gas naturale da dirigere eventualmente in Europa.  La Turchia è infatti il ponte naturale per il gas proveniente dal golfo persico, dove sono concentrate le maggiori riserve di gas non adeguatamente sfruttato del mondo; in particolare i grandi giacimenti di Iran e Qatar, ma anche quelli consistenti di Iraq e Arabia Saudita. L’Iran ha anche incaricato esperti del settore (tra cui la solita Saipem, dotata di apposite navi) di progettare un gasdotto sottomarino a largo del Pakistan per rifornire l’India; anche il Pakistan potrebbe beneficiarne ed essere collegato in cambio dell’appoggio al progetto stesso; questa opportunità energetica ha contribuito negli ultimi anni a migliorare molto la situazione sul fronte delle decennali contese tra le due potenze nucleari del Subcontinente indiano. Questi progetti non possono essere ben visti dagli USA che invece puntano sull’alternativa GNL, i paesi rivieraschi del Golfo dovrebbero, in questa visione, commerciare gas liquefatto, sotto la protezione/supervisione della flotta USA, con i tre grandi mercati; Europa, Nord America ed estremo oriente, il che permetterebbe di uniformare maggiormente i prezzi sui tre mercati.  Della stessa visione fanno parte i produttori come Nigeria e Australia, meno importanti ma utili per bilanciare geograficamente l’offerta di GNL, principalmente verso Europa e Nordamerica la prima e per l’estremo oriente la seconda.  Una Russia più accondiscendente, disposta ad esportare GNL verso il Nord America dando in concessione tutta la filiera dall’upstream al trasporto ad una major occidentale sarebbe stata la ciliegina sulla torta di questo grande progetto energetico e geopolitico cui la politica di Putin fin dal 2001 ha posto un serio ostacolo prima bloccando gli oligarchi eltsiniani filooccidentali che miravano a porre la Yukos sotto il controllo della Exxon Mobil, poi reagendo sempre più ostilmente alle capacità di Washington di manipolare la politica estera di paesi ex sovietici quali la Georgia e l’Ucraina, fino all’intervento militare in Ossezia, in cui le truppe di Mosca si sono attestate ad una distanza tale da poter direttamente minacciare la pipeline BTC.  Tale intervento ha posto le basi per nuovi assestamenti nella regione della ex URSS, ad esempio il crollo della coalizione filo occidentale in Ucraina.  Nei momenti più bui della crisi russa gli unici paesi ex sovietici rimasti vicino a Mosca erano la Bielorussia e l’Armenia. Ancora nel 2005 le repubbliche centroasiatiche dell’Uzbekistan e Kirghizistan  avevano ospitato basi USA che oggi non ci sono più; Fin poco prima del conflitto in Ossezia del 2008 esisteva il GUAM (Georgia-Ucraina-Azerbaijan-Moldavia) una alleanza militare antirussa proiettata fortemente verso la NATO, Dopo la guerra di Ossezia i due principali membri non sembrano più in grado di nuocere alla Russia, la Moldavia e l’Azerbaijan che hanno al proprio interno enclavi indipendentiste simili all’Ossezia: Transnistria e Nagorno Karabak hanno sicuramente preso atto della situazione. Questa tessera completa il mosaico dell’azione russa contro il progetto militar-energetico americano  ma la partita rimane ancora aperta, anche se sembra essersi spostata maggiormente sulle rive del Mediterraneo, altra cerniera dei canali energetici tra Nordafrica ed Europa, dove a seguito di un breve conflitto è stato rimosso il regime libico di Gheddafi, fornitore di idrocarburi per molti paesi europei ma considerato troppo vicino alle posizioni russe in fatto di geopolitica energetica.

KiteGen e la bottega tecnologica

Scritto da Mario Marchitti
Il progetto KiteGen presenta innumerevoli innovazioni e sfide tecnologiche che potrebbero generare nuove attività industriali (spin off in gergo); molti di queste meriterebbero di essere sostenute indipendentemente dalla funzione che svolgeranno nell’ambito del progetto. Il KiteGen mira a sfruttare i venti di alta quota attraverso vele/aquiloni/profili alari opportunamente vincolati e comandati da terra: una soluzione che, sebbene non introduce alcuna novità scientifica, necessita l’impiego di tecnologie e ritrovati che si pongono alla frontiera nel campo della ricerca applicata. Il gruppo e il luogo di lavoro dove attualmente si sviluppa il progetto può essere visto come una sorta di bottega tecnologica, dove chi ha ambizioni e interessi potrebbe trovare un fertile terreno per sviluppare e maturare professionalità di alto livello. Magari all’inizio si dovrà accontentare di una scarsa o nulla remunerazione, perché il progetto non gode di un adeguato sostegno, né da parte della grande industria, né da parte degli enti governativi, ma il guadagno come bagaglio di esperienza e conoscenze tecniche è sicuramente elevato, e in questa ottica l’impegno è sicuramente pagante, soprattutto per un giovane che si affaccia nel mondo della tecnologia e dell’industria.
Supercondensatori, nuovi cavi, nuovi profili alari, sensori e tecniche di controllo sono fra le tecnologie più importanti applicate al KiteGen:
- Il KiteGen non sarebbe concepibile senza la disponibilità di cavi in polimeri (Dyneema, Vectran) che  sono  più leggeri (circa la densità dell’acqua)  dei cavi in acciaio e circa dieci volte più resistenti a parità di sezione; questi cavi trovano sempre maggiori applicazioni, così come è avvenuto per la fibra di carbonio nella realizzazioni delle parti strutturali dei velivoli, ma anche nel settore del trasporto terrestre.  Comunque i limiti di impiego di questi cavi devono essere studiati ed esplorati, soprattutto per quanto concerne le adeguate protezioni e limiti di impiego riguardo all’usura. Si stanno anche studiando e valutando innovative caratteristiche aerodinamiche del cavo, per poterlo opportunamente sagomare per ridurre ancora più drasticamente la resistenza aerodinamica, soprattutto nella parte terminale, vicino al kite, dove le  velocità sono maggiori.
- Il controllo è indubbiamente la parte più importante, più difficile e più ambiziosa del progetto, soprattutto nella fase riguardante il decollo del kite, perché in questa fase il kite ha una corsa limitata nello spazio, inoltre  la sua velocità è minima o nulla. Ci si trova nella stessa situazione di chi va in bicicletta, dove l’equilibrio in partenza è precario e difficile da controllare. Il comando del kite viene effettuato principalmente azionando i cavi in modo differenziale, ma si prevede comunque di potenziare le manovre, soprattutto a bassa velocità, con due turbinette alle estremità dell’aquilone che forniscono un momento imbardante (che può essere assimilato alla funzione del piano verticale di coda degli aerei, che però è efficiente alle alte velocità. In effetti per migliorare la manovrabilità degli aerei di recente ci sono proposte per orientare la spinta del getto, con ugelli mobili). Il “motore” del controllo è lo stesso generatore, la cui azione deve essere modulata adeguatamente, sia come controllo passivo (aumentando o diminuendo il carico) sia come controllo attivo agendo in modo differenziale sui cavi. Il controllo con estrema precisione e rapidità effettuata con motori molto potenti, nell’ordine delle centinaia di kW, sono operazioni particolarmente impegnative dal punto di vista tecnologico.
- Fino a pochi anni fa la capacità dei condensatori difficilmente arrivava al Farad, mentre oggi sono già in commercio, a prezzi accessibili, condensatori con una capacità di oltre il migliaio di Farad. L’incredibile aumento di capacità consente di concepire il supercondensatore come buffer di energia, con diversi scopi nell’ambito del progetto KiteGen: per livellare l’erogazione dell’energia alla rete in quanto il KiteGen Stem singolo funziona alternativamente, con una fase attiva e una più breve passiva; e per fornire appunto l’energia necessaria al riavvolgimento dei cavi nella fase passiva. Fuori dall’ambito del KiteGen la tecnologia dei supercondensatori ha trovato applicazione come sistema di assistenza e recupero energetico (Power Hibrid Regenerator) e nel concetto di K-Bus a ricarica veloce (biberonaggio) L’elettonica di potenza per gestire l’uscita dei generatori ad alta frequenza con operazioni di raddrizzamento e successivamente di conversione in alternata adeguata alla rete è un ulteriore importante impegno tecnologico.
-Il Kite, l’aquilone, la vela, o il  profilo alare fin’ora utilizzati per i test sono stati reperiti sul mercato, che li produce per attività sportive e già anche per applicazioni industriali come SkySail. Sono realizzati con tessuti sintetici ad alta resistenza. Il loro rapporto portanza/resistenza non è molto alto: non si riesce ancora ad arrivare a un valore di 10, mentre gli alianti, che utilizzano ali rigide, presentano efficienze fino a 50. Una maggiore efficienza consente, a parità di potenza erogata, di ridurre la superficie del kite, quindi di migliorare la controllabilità del kite e di ridurre la sua sensibilità alle raffiche. L’ala rigida però non consente la manovra di scivolata d’ala o di messa in bandiera, per potere riportare l’aquilone a bassa quota e ricominciare il ciclo di produzione. La soluzione che ora viene studiata è l’ala bimodale, rigida in corda per ottenere un’alta efficienza, e flessibile in apertura per permettere le manovre di recupero. L’ala bimodale (con sezioni o cassonetti in carbonio uniti da elastomeri)  è in fase di progetto, e un adeguato supporto esterno da parte di laboratori con gallerie del vento sarebbe benvenuto.
- Come per gli aerei anche per il progetto KiteGen c’è la necessità di monitorare istantaneamente gli assetti (angoli e posizioni) le velocità e le accelerazioni. Nel caso del kite però non ci si può servire delle costose e pesanti piattaforme inerziali (i giroscopi) comunemente usate per gli aeromobili, ma ci si deve servire di sensori leggeri, poco ingombranti e con basso assorbimento di potenza elettrica. Attualmente questa sensoristica, cosiddetta strap down, è costituita da accelerometri, girometri e magnetometri. I loro segnali devono essere opportunamente combinati con sosfisticate tecniche matematiche, che in parte erano già presenti nel sensore SeTAC precedentemente sviluppato.

Risposta al Max Planck Institute

In questa nuova categoria ripubblichiamo articoli ed eventi precedenti alla creazione di questo blog, per i nuovi lettori che li avessero persi.

Massimo Ippolito di KiteGen risponde all’improvviso affastellarsi di voci allarmate e preoccupate per l’avvenuta segnalazione su Quale Energia di uno studio, eseguito presso il Max Planck Institute, che sembrerebbe mettere in crisi il concetto stesso di eolico di alta quota o troposferico.

Tullio de Mauro ci informa, dalle pagine del Corriere, che il 71 per cento della popolazione italiana si trova al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura di un testo [italiano] di media difficoltà. E poiché quindi, purtroppo, quello studio del Max Planck può essere compreso, valutato criticamente e letto tra le righe da percentuali omeopatiche di cittadini medi, chiedo perdono per la franchezza, accompagnata da un certo disagio, che mi vedo costretto a usare. Siamo infatti di fronte ad un lavoro assai criticabile, come vedremo, e francamente stupisce la disponibilità a pubblicarlo da parte di Earth System Dynamic e quella a rilanciarlo da parte di Quale Energia (che peraltro ci ha cortesemente offerto un diritto di replica).

Chi è abituato a leggere pubblicazioni scientifiche resterà sicuramente sorpreso dallo stesso titolo del paper, “Jet stream wind power as a renewable energy resource:little power, big impacts” che ne preannuncia lo spirito inspiegabilmente aggressivo. Nel paper stesso, poi, ogni paragrafo dedica uno spazio esagerato, e senza ragionamenti di supporto, a ripetere apoditticamente ciò che è stato espresso nel titolo e che viene ribadito nelle conclusioni.

I lavori, per esempio, dell’IPCC hanno abituato tutti a vedere ogni previsione prodotta da un modello corredata da una barra di incertezza. Mentre ci risulta arduo considerare un segno di serietà scientifica già la sola affermazione, contenuta nel paper Max Planck, che si possa estrarre esattamente 7,5 TW dall’atmosfera, senza offrire a chi legge delle opportune barre di errore; barre che sono ottenibili, nel ciclare il modello, variando le assunzioni nel loro ambito di plausibilità.

Stimano solamente 7,5 TW, ma a ben vedere non è affatto poco!Paradossalmente, lo studio dei ricercatori del Max Plank Institute, pur eseguito utilizzando argomenti che dimostreremo errati e pur posizionandosi, fra centinaia di altre valutazioni della risorsa vento, come la meno generosa in assoluto, è in sostanza un’ulteriore conferma della validità del KiteGen e più ampiamente dell’eolico di alta quota. Perché esso afferma che col solo eolico di alta quota si può estrarre in modo sostenibile molto di più del fabbisogno mondiale primario di energia, anche se lo afferma in polemica diretta con un recente lavoro più ottimistico di Ken Caldeira e Christina Archer,  nel quale quel “di più” è stimato in 100 volte.

Cito infatti dalla loro pubblicazione: “Our estimate for maximum sustainable extraction of kinetic energy from jet stream is 7.5 TW” (“La nostra stima per la massima e sostenibile estrazione di energia cinetica dal jet stream è di 7,5 TeraWatt”). Tuttavia tale pur pessimistico limite di 7.5 TeraWatt, della nobile e preziosa energia elettrica, è di gran lunga superiore all’intero fabbisogno umano primario! Fabbisogno che oggigiorno si attesta in 14 TW fossili, e quindi termici, dei quali molto meno della metà si trasforma in servizi energetici utili. Una centrale elettrica a carbone consuma circa il triplo di energia termica rispetto all’elettricità erogata e un’automobile brucia e disperde cinque volte l’energia termica del carburante rispetto all’energia meccanica che arriva effettivamente alle ruote. Quasi tutto il nostro uso di energia è affetto da queste ineludibili proporzioni di spreco. Di conseguenza si può affermare, senza timori di smentite, che il fabbisogno umano attuale, di potenza, è ampiamente sotto i 6TW (da moltiplicare per le 8760 ore, per ottenere il fabbisogno di energia su base annua), se fissati già nella nobile forma elettrica o meccanica anziché termica.

Potenza o energia? Questo è il problema

Entriamo ora nel merito del lavoro.

Chi si occupa professionalmente di energia condivide con me la sensazione oppressiva del dover subire la continua e diffusa confusione fra i concetti distinti di potenza e di energia. E anche a pag 202 del paper in questione l’intero primo paragrafo mescola ripetutamente ed ineffabilmente i due concetti. Qui un esempio: ” If we take the present global energy demand of 17 TW of 2010 (EIA, 2010), then this estimate would imply that 1700 TW of wind power can be sustainably extracted from jet streams. However, this estimate is almost twice the value of the total wind power of 900 TW (Lorenz, 1955; Li et al., 2007; Kleidon et al., 2003;Kleidon, 2010) that is associated with all winds within the global atmosphere.

L’attuale domanda di energia è, secondo gli autori, di 17 TW, che però misurano una potenza, chiaro (ma solo agli addetti ai lavori) che volessero intendere la potenza media assorbita dalle utenze planetarie durante un anno, ma espresso con una superficialità che non è ammissibile per uno studente del liceo durante un’interrogazione, figurarsi per un team di ricercatori, il quale avrà peraltro avuto modo di rileggere più volte il lavoro prima di rilasciarlo. Inoltre affermare che la potenza totale del vento è di 900 TW è una forzatura del concetto fisico: non esiste potenza in un fluido, semmai esso è dotato di energia. Al limite, si potrebbe provare a valutare l’energia posseduta dal regime stazionario atmosferico, che però si misura in migliaia di TWh (TeraWattOra). Quei 900 TW, se mai, potrebbero essere la potenza che il sole trasferisce all’atmosfera e che si trasforma in forma cinetica oppure la potenza che l’atmosfera perde continuamente in calore con l’interazione con il suolo e nei fenomeni di attrito tra i vari flussi. Dovrebbe bastare questo per riconsiderare che esistono molti approcci di maggiore qualità e certamente di superiore interesse sul tema:

ENERGIA

Brunt(1939) calcola in 100PWh l’energia cinetica totale dell’atmosfera.

POTENZA DISSIPATA IN ATMOSFERA

Gustavson (1979) calcola 3600TW di dissipazione media totale, (inoltre conferma i dati di Brunt),

Gustavson (1979) 1200TW di dissipazione entro il boundary layer con l’orografia del territorio e il trasferimento di energia ai mari,

Lorenz (1967) 1270TW, Skinner (1986) 350TW, Peixoto and Oort (1992) 768TW,  Sorensen (1979 e 2004) 1200TW, Keith et al. (2004) 522TW, Lu et. al., (2009) 340TW, Wang and Prinn (2010) 860TW.

Le differenze fra i risultati di cui sopra sono motivabili da analisi che parzializzano su flussi ordinati, puramente orizzontali e potenzialmente sfruttabili, ma sostanzialmente tutti gli autori sono abbastanza concordi sugli ordini di grandezza.

SFRUTTAMENTO DELLA RISORSA

Gustavson (1979) ritiene che possano essere sfruttati 130 TW – il 10% di ciò che viene dissipato naturalmente – con già un’espressa attenzione al clima da parte dell’autore; che per me rimane il più credibile, colui che ha detto e capito tutto ciò che c’era da dire e capire. Un altro ottimo lavoro è quello di Sorensen, che si sovrappone quasi perfettamente a quello di Gustavson

Tornando alla confusione tra potenza ed energia sul paper di L. M. Miller, F. Gans and A. Kleidon , bisogna essere veramente indulgenti ed approssimativi per accettare queste formulazioni :

<<Archer and Caldeira (2009) estimated the potential of jet stream wind power as “…roughly100 times the global energy demand”. If we take the present global energy demand of 17TW of 2010 (EIA, 2010), then this estimate would imply that 1700TW of wind power can be sustainably extracted from jet streams. However, this estimate is almost twice the value of the total wind power of 900TW(Lorenz, 1955; Li et al., 2007; Kleidon et al., 2003; Kleidon, 2010) that is associated with all winds within the global atmosphere.

Here we resolve this contradiction between the energy that can maximally extracted from the jet stream Sect. 4 in terms of differences in velocity and dissipation rates, the limit on how much kinetic energy can maximally be extracted, atmospheric energetics. The contradiction originates from the erroneous assumption that the high wind speeds of the jet streams result from a strong power source. It is well known in meteorology that jet streams reflect quasi-geostrophic flow, that is, the high wind speeds result from the near absence of friction and not from a strong power source.>>

1) Vi si “accusano” artificiosamente Archer e Caldeira di dire che 1700 TW sono sostenibili, mentre il vero significato è che essendoci un potenziale pari a 100 volte la domanda globale, l’estrazione risulta particolarmente copiosa anche da una singola geolocalizzazione, e che per ora possiamo lasciare passare indisturbato ciò che non raccogliamo. Inoltre la stima di Archer e Caldeira non si riferisce ai soli jet stream.

2) Vi si cita un TOTAL WIND POWER, associato a tutti i venti dell’atmosfera, e non un dato di potenza media, mediata o al limite di TW anno; il che è un errore grave.

3) Vi si indica una massima energia che può essere estratta; cosa che non ha alcun significato se non con un senso molto traslato di energia, ovvero di potenza.

4) Vi si indica la massima energia cinetica che può essere estratta; cosa che avrebbe un significato solo se vi fosse stato aggiunta, anche solo lessicalmente, una base di tempo.

5) Inoltre l’assenza di frizione è un falso. Infatti sappiamo che in atmosfera si perdono globalmente 7W al mq, di cui 2,5 W mq sono la parte eventualmente a disposizione dell’eolico (da non confondere con i 700W al mq medi, disponibili localmente, quale sommatoria di raccolta nel grande cardioide sopravvento ai generatori).

Ragionando attentamente, l’intento degli autori di forzare insieme diversi concetti, anche al rischio di apparire superficiali, appare poco chiaro, e sicuramente poco scientifico dando peraltro adito al sospetto di voler attaccare ad ogni costo il concetto di eolico di alta quota.

Ma in realtà nessuno di buon senso ha mai pensato di sfruttare direttamente il Jet Stream

Il Jet Stream alimenta immagini e sogni sproporzionati. Per cui si nota spesso, quando si tratta di energia eolica, una sorta di prouderie intellettuale a volerne forzatamente dissertare.
Effettivamente la velocità media del vento a quelle quote è di 90 nodi medi, un equivalente di circa 16 kW al metro quadrato di fronte vento, con dei picchi frequenti di oltre 100 kW al metro quadro. Un’ipotetica ventolina di soli 20 cm di diametro, immersa nel jet stream, potrebbe davvero alimentare abbondantemente un’abitazione tutto l’anno, sia di giorno che di notte.

Però una macchina che si immerga nel pieno del Jet Stream, a 9000 metri di altezza, è difficile perfino da immaginare. Solo fantasie tecnologicamente immature possono ipotizzare di sfruttare direttamente quel possente quanto ingestibile flusso. L’eolico di alta quota, in tutte le sue forme, si indirizza invece al flusso residuale, quello che si propaga dai jet streams e scende a quote relativamente più basse ed è destinato a frangersi e disperdere energia in calore tra le cime delle montagne, le foreste e l’orografia del territorio. Si deve pensare che gli estensori del paper non lo sapessero ? Cioè che criticassero una tecnologia pur ignorandone perfino le basi? Trattasi di un dubbio lecito e nel contempo alquanto inquietante.

E ancora, i lavori di Christina Archer e Ken Caldeira , che sono citati nello studio a preteso sostegno, non si concentrano invece affatto sull’ipotesi di sfruttamento del jet stream. L’atlante dei venti di alta quota che essi hanno pubblicato prende infatti in esame tutte le latitudini e longitudini alle varie altezze; per cui è inaccettabile che sia attribuito loro una focalizzazione esclusiva sul jet stream.

La magia insita nelle macchine che intendono sfruttare l’eolico troposferico è proprio la possibilità di modulare l’altezza operativa in modo da trovare sempre una brezza non troppo forte né troppo debole, col fine primario di fare concorrenza alla stabilità ed alla costanza delle centrali termiche, che convertono l’energia fossile provvidenzialmente accumulata nei milioni di anni dal nostro pianeta.

L’eolico di alta quota presenta inoltre il vantaggio di trovare concentrata questa energia approssimandosi al regime stazionario atmosferico; al quale si può accedere praticamente da qualunque luogo della superficie terrestre, senza richiedere di dispiegare centinaia di migliaia di installazioni sui territori. Ciò che c’è di positivo nel fatto di avere quella enorme risorsa energetica accumulata nei jet stream, non può certamente essere l’immaturo ed inutile proposito di estrarne migliaia di TW, ma è la consapevolezza di poter cogliere il vantaggio di una macchina che può attingere ovunque dalle perdite di quel serbatoio energetico per soddisfare auspicabili specifiche di funzionamento e di potenza erogabile.

Il limite di Betz

A pagina 206 del paper è citata la legge di Betz ed il suo limite al 59,3%. E le formulazioni matematiche di Betz descrivono effettivamente la metodologia per frenare al meglio il flusso del vento al fine di estrarre energia. Esse permettono cioè di capire che il vento non è da sfruttare a fondo perché deve fluire attraverso la macchina eolica senza perdervi tutta la velocità e l’energia posseduta. Condizione indispensabile per ottenere il migliore risultato.

Però le leggi di Betz sono preziose per le turbine eoliche, che hanno un fronte vento intercettabile limitato dalla dimensione delle pale in rotazione; per cui il vento elaborato mantiene in ogni caso l’energia residua che non viene convertita dalla macchina. Nel caso invece dell’eolico troposferico di tipo ground-gen (generatore a terra), quelle leggi perdono gran parte della loro importanza poiché il fronte vento intercettabile è decine di volte superiore a quello delle pale eoliche e quindi la velocità del vento viene ridotta solo leggermente.
Gli autori del paper forzano il cosiddetto limite di Betz, con l’intento scoperto di affermare che la massima potenza cinetica estraibile è 7,5 TW e che quindi, a causa del limite di Betz, la potenza elettrica è di 4,5 TW. Ma questo non è vero perché, se la potenza cinetica estraibile fosse effettivamente limitata a 7,5 TW, le macchine eoliche dovrebbero elaborare vento per 12 TW lasciando fluire preservati 4,5 TW, assolvendo in pieno alla specifica di sottrarre solo 7,5 TW cinetici.

Modelli matematici

Spesso si sente dire che la scienza e gli scienziati sono divisi nel decifrare vari argomenti, come per esempio succede per i modelli che descrivono il caos climatico e la responsabilità antropica.
Molti politici non vogliono più sentir parlare di modelli, probabilmente perché hanno assistito a dimostrazioni di tesi opposte brandite con altrettanti modelli a supporto. Ebbene, è un vero peccato poiché l’essenza della politica degli statisti dovrebbe essere quella di prevedere il futuro con sufficiente anticipo per reagire correttamente.

Penso di aver focalizzato abbastanza chiaramente il principale fattore comune dei guasti cognitivi e comunicativi su molti argomenti di una certa complessità. Si tratta di differenti percezioni e interpretazioni dei fenomeni dinamici e retroattivi. Posso anzi dire che si nota una netta linea di demarcazione tra chi studia, percepisce ed è consapevole di fenomenologie multivariate con il loro corredo di forzanti e retroattività, e chi percepisce la scienza ed i suoi fenomeni con rappresentazioni statiche o semplici proiezioni tendenziali, come succede nel mainstream degli economisti o dei demografi.. Purtroppo, è possibile confezionare i cosiddetti modelli previsionali con entrambe quelle mentalità, ma con ben diversi risultati qualitativi.

Il lavoro di L. M. Miller, F. Gans and A. Kleidon rivela appunto una scarsa conoscenza della dinamica dei sistemi. Infatti, pur dichiarando di aver utilizzato un modello matematico ad elementi finiti, lo hanno applicato spalmando ovunque e forzatamente un freno fluidico quale emulazione di macchine eoliche di alta quota. Un errore marchiano, che risulta evidente pensando che le macchine eoliche devono avere necessariamente una geolocalizzazione, mentre tale aspetto è stato da loro completamente ignorato,
Se i potenti flussi di vento di alta quota sono così mobili per quasi mancanza di attrito, un eventuale ostacolo puntuale verrebbe in buona parte aggirato, creando scenari dinamici inediti, ma modellizzabili con approcci più rigorosi.

Qui ho riprodotto un’immagine a dimostrazione che, mentre scrivevo, su Inghilterra, Francia, Italia e fino alla Grecia era presente un vento di oltre 200 km/h. Come si può notare, questi flussi accelerano, frenano e deviano, coinvolgendo immense masse d’aria a grande velocità e con grandi accelerazioni, in evoluzioni che in poche ore presentano configurazioni completamente differenti e grandi scambi e dissipazioni di energia.

Basti pensare all’energia veicolata da un vento come il foehn, frequente in Piemonte, che nel mentre deposita in scioltezza miliardi di tonnellate di neve sulle Alpi, riesce in pieno inverno ad elevare la temperatura di una intera regione a livelli estivi.

Per dare un’indicazione quantitativa, risultante dall’immagine, l’Italia era investita da una potenza eolica di oltre 200 TW, pari a circa 15 volte il fabbisogno mondiale primario. Qui posso appropriatamente parlare di potenza perché ho definito un’area (il fronte vento sulla penisola italiana) ed un riferimento temporale (l’istante cui l’immagine si riferisce). Lo studio di queste dinamiche atmosferiche emblematicamente ripropone le difficoltà citate. Eppure c’è chi pensa di poter mettere giù una manciata di equazioni, che a gamba tesa intervengono in un modello; e pretende di ottenere risultati sensati.
Ipotizzare un limite di sfruttamento di pochi TW rappresenta per ora un più che comodo, ampio e direi comunque condivisibile obiettivo, fino a quando si potrà confermare, con lavori di modellizzazione rigorosi, che più si sfrutta il vento troposferico e più vento troposferico sarà disponibile. Una risorsa forse autofertilizzante, insomma.

L’anticipata sottrazione di energia cinetica da parte delle macchine eoliche, infatti, fa abbassare la temperatura anche di parecchi centesimi di grado nei cardioidi sottovento dell’atmosfera. E i differenziali termici, insieme al contenuto di vapore, sono il grande motore dei venti.
La maggior parte dello sfruttamento, per ragioni geografiche e di popolazione, insisterà sulle celle di circolazione atmosferica di Ferrel, che rappresentano un colossale corto circuito energetico tra le celle di Hadley e le celle Polari. Sottrarre energia a queste celle di circolazione atmosferica può significare vedersela restituire integralmente dalle dinamiche circostanti.

Le Istituzioni, dove sono?

Dopo questa indispensabile critica del lavoro proveniente dal Max Plank Institute, finalmente si condividono gli elementi per affermare, senza apparire esagerati, che dalla sola Italia, grazie alla sua posizione trasversale ai grandi flussi pseudo geostrofici, si potrebbe facilmente estrarre 1 TW continuo di potenza, ovvero oltre 8000 TWh di energia annui. I quali, trasformati prosaicamente in denaro, equivarrebbero ad una produzione netta di ricchezza puramente endogena stimabile in 800 miliardi di euro l’anno…. Roba da far impallidire tutte le inique manovre finanziarie che i governanti ci stanno imponendo.

Qualche decina di grandi macchine eoliche o kitegen farms, distribuite da Nord a Sud, farebbero tutto il lavoro senza preoccupazioni di intermittenza, e a forse nemmeno un decimo del costo che avrebbe avuto il nostro nucleare.

Il fatto di scrivere e dimostrare percorsi progettuali credibili ci ha procurato la promessa (ma solo quella) di finanziamenti pubblici per un totale complessivo di 78 milioni. Abbiamo partecipato ai bandi per la ricerca e l’innovazione, e le commissioni si sono sempre entusiasmate del progetto; al punto che molti valutatori tecnici e strategici si sono sentiti in dovere di complimentarsi personalmente col sottoscritto. Mi ricordo di Zorzoli, Clini, Silvestrini, Degli Espinosa, Pistorio… Poi, regolarmente, i fondi sono stati bloccati e i responsabili trombati; oppure la pratica è finita in mano a burocrati lunari. Degli Espinosa e in particolare Pistorio all’epoca di “Industria2015” si erano convinti saggiamente, che almeno un KiteGen, realizzato su scala industriale, bisognasse assolutamente vederlo.

Consumare copiosamente energia da fonte rinnovabile è l’unico ed inedito motore primario e credibile per l’economia del futuro, ma sembra che un sentimento di impotenza e nichilismo imperino e che chi potrebbe darci una mano preferisca vedere il collasso.

Massimo Ippolito

Test

Kite Steering Unit 1 durante i test
Di Andrea Papini
Molti lettori ci chiedono qualche dettaglio in più sui test eseguiti.  Iniziamo per ordine ed illustriamo i risultati che furono ottenuti dal primo prototipo, in seguito sarà più chiaro in successivi post il lavoro che stiamo svolgendo adesso.   I test necessariamente seguono ad ogni fase di progettazione, in particolare per una macchina innovativa e mai fino ad ora concepita ad un tale livello di dettaglio.   I test di validazione della tecnologia KiteGen sono iniziati fin dal 2006, quando un primo prototipo denominato Kite Steering Unit 1 o in breve KSU1 ha dimostrato fondamentalmente che è possibile produrre energia dai venti d’alta quota (fu raggiunta l’altezza di 800 m AGL ovvero sul livello di campagna) con un ciclo YO-YO ovvero costituito da:
  • una fase attiva in cui il kite srotola i cavi azionando gli alternomotori in modalità alternatore e producendo energia fino a raggiungere una quota massima
  • un ciclo passivo in cui gli alternomotori agiscono da motori e riportano il kite alla quota minima di operatività consumando una frazione inferiore al 5% dell’energia prodotta nella fase attiva, per poi ricominciare.
I “test” comprendevano quelle che, in parole povere, vengono chiamate “ore di volo”. In termini leggermente più tecnici le “ore di volo” possono essere classificate in diversi tipi di “test di manovre di volo”. Ad esempio: “test di decollo”, “di produzione di potenza elettrica”, “di sicurezza in caso di raffica”; “di passaggio alla scivolata d’ala”, “di scivolata d’ala” ecc. I test comprendono anche alcune operazioni a terra per cambiare il set-up dell’ala, i cavi e alcune variabili della KSU.
Vorrei anche rimarcare che i test sulla KSU sono stati di tipo booleano ossia si sono focalizzati sulla ripetizione e l’ottimizzazione di ogni singola manovra. Per quanto siano stati eseguiti anche dei test sull’intero “ciclo yo-yo” (che è l’unione delle varie manovre) questi non erano l’oggetto principale dello studio perché prima di testare un sistema complesso, è buona prassi testare i moduli del quale è composto. I risultati dei test booleani hanno dimostrato l’effettiva potenzialità produttiva di energia elettrica (grande successo del modulo “manovre per la produzione di potenza elettrica” ), ma hanno anche evidenziato che il prototipo KSU era inadeguato ad eseguire i test di ciclo yo-yo, per due motivi principali:
  • l’impossibilità di gestire in sicurezza il kite in caso di forti raffiche di vento (problemi nel modulo “manovre per sicurezza in caso di raffica”);
  • l’impossibilità di disperdere il calore accumulato nelle pulegge del KSU.
A quel punto era necessario riprogettare il generatore in modo che risolvesse quei problemi. Visto che le potenzialità produttive erano state dimostrate con successo, per accorciare i tempi (time to market) è stato scelto di puntare direttamente ad un prototipo preindustriale. Quindi:
  • è stata progettata una nuova struttura ad igloo ed uno stem per ammortizzare meccanicamente quelle raffiche che non era possibile gestire elettronicamente;
  • è stato modificato e ridimensionato il sistema di tamburi e pulegge con un sistema di raffreddamento.
E’ nato quindi il “KiteGen Stem”, con il quale è ora possibile:
  • testare le “manovre in sicurezza in caso di raffica” con l’ausilio dello stem;
  • verificare che il sistema di raffreddamento sia efficace (è stato abbondantemente sovradimensionato in fase progettuale);
  • testare il nuovo “modulo di decollo automatico” (test attualmente in corso);
  • solo a questo punto, quando dopo che ogni modulo è stato validato sul generatore preindustriale, si passerà a concentrarsi sui test del ciclo yo-yo in modalità continuativa.

Tradotto in “parole povere” significa che i test sul ciclo inizieranno quando sarà già stato verificato che il KiteGen Stem è perfettamente funzionante (e per di più è già un modello industriale). Questi test finali serviranno esclusivamente per ottimizzare la producibilità e raffinare il sistema nel suo complesso.

Carbo-Kite

Di Marco Ghivarello

Progettista CAD KiteGen [nonchè pilota entusiasta di alianti, paramotori e qualunque altra cosa che abbia una lontana probabilità di volare, NdR]

Da Gennaio 2012 è iniziata la costruzione della nuova ala semirigida in fibra di carbonio il cui obiettivo  è di incrementare le prestazioni delle attuali vele da kite con cui saranno effettuate peraltro le prime prove.

Gli effetti di un incremento della efficienza a parità di peso sono esponenzialmente crescenti, aumenta la velocità massima e la forbice rispetto alla minima, con una W min. verticale di sostentamento che sarà inferiore, consentendo un incremento delle ore / anno di produzione energetica ed una migliore gestibilità dei carichi di raffica dovuti alla minore superficie alare.

La grande sfida – peraltro non così apparentemente fattibile a chi opera unicamente nel settore dell’aviazione convenzionale – è riuscire a creare un ala in grado di tenere enormi sollecitazioni, ma con una leggerezza quasi paragonabile a quello di un parapendio, ed al contempo semi-rigida con concetti assimilabili alle ali di aliante (noi abbiamo il vantaggio di non presentare superfici parassite quali fusoliera ed impennaggi e non vincolarci ai profili che abbiano gli spessori % necessari ad alloggiare convenzionali longheroni) e in grado di flettersi al fine di realizzare la manovra di “side sleep”, fondamentale per il recupero della stessa.

Con questo preliminare prototipo abbiamo pertanto definito una nuova tecnologia  realizzativa che unisse i due mondi, quello delle ali convenzionali e quello delle ali flessibili (parapendio-kite surf), e abbiamo un programma di test molto fitto, ove si sperimenteranno flessibilità, carichi, tenuta a trazione, telemetria prestazioni, affinamenti aerodinamici, sistemi automatici di variazione d’assetto, a seguire affidabilità delle tecnologie utilizzate, ecc. ecc.. Con i successivi prototipi si lavorerà sull’efficienza attraverso lo studio di configurazioni più estreme, rese possibili da un pilotaggio attivo gestito dal controllo predittivo del KiteGen.

Kitegen su Il sole 24 ore

Il sole 24 ore segue sempre con molta attenzione il KiteGen come testimonia l’articolo di oggi a firma di Paolo Magliocco.  In precedenza l’argomento era stato trattato in numerosi articoli

Sistemi anticollisione

In questo post sono descritte alcune soluzioni allo studio per la prevenzione delle collisioni tra kite e velivoli negli spazi aerei interessati dalla presenza di Kite Farm.

La soluzione più semplice è l’istituzione di una zona interdetta al volo (P-Zone) Prassi comune per impianti pericolosi quali centrali atomiche e petrolchimici. Una tipica area P (Prohibited), dove il volo è totalmente interdetto e il rischio tendenzialmente nullo, ha una altezza di 5.000 piedi dal suolo (1.524 m) e un raggio di almeno 1 miglio nautico (1.852 m); il cilindro risultante ha quindi un volume di 16,4 km³ e conterrebbe agevolmente una wind farm.  E’anche la soluzione preferita dalle autorità di assistenza al volo italiane, le quali sono le principali attrici del processo autorizzativo per l’istituzione di P-Zone.  Altre tipologie di spazi aerei sottoposti a vincoli sono le zone R (Restricted) o D (Dangerous).  Le autorità preposte aggiornano costantemente le mappe degli spazi aerei e sono in grado di stabilire motivatamente, a seguito di opportune valutazioni, se in una data area è  ammissibile restringere o meno il traffico aereo.   L’imposizione di vincoli e proibizioni può sempre generare malcontento nelle categorie interessate, ma in tal caso si tratta di garantire in primo luogo la sicurezza di questi soggetti e degli aeromobili circolanti alle quote interessate dalle kite farm, inoltre è necessario considerare che le potenzialità di  produzione di energia elettrica degli impianti eolici d’alta quota sono un beneficio per la collettività molto superiore alla libertà di circolare con velivoli comunque e dovunque.   Considerando che la quota massima di 1500-2000 m presumibilmente ammissibile per le operazioni di produzione di energia elettrica almeno per le prime realtà produttive, non impedisce la circolazione dei voli di linea, che transitano a quote molto maggiori eccetto durante le manovre di atterraggio (pertanto è estremamente improbabile ottenere restrizioni nei corridoi di avvicinamento agli aeroporti) i soggetti interessati dai divieti si ridurrebbero ai velivoli ultraleggeri o agli elicotteri.

I divieti non sono l’unica soluzione, le tecnologie radar, unitamente alla capacità del sistema di controllo KiteGen di conoscere l’esatta posizione delle vele in ogni istante, permetterebbero infatti di consentire la circolazione di velivoli anche nello spazio aereo interessato alla produzione energetica.      Una soluzione senza necessità di aree proibite prevede che le vele vengano rese visibili ai radar (radarabili), mediante incorporazione di anime metalliche, consentendo ad un ente di controllo di rilevare possibili collisioni e notificarle tempestivamente al centro di controllo della kite-farm, la quale immediatamente manovra i kite allontanandoli dalla rotta di collisione.  In caso di necessità tutte le ali possono essere riportate a terra in circa 2 minuti.

I kite potrebbero anche essere omologati come aeromobili vincolati.  In tal caso i kite sarebbero dotati di transponder che comunicano la posizione e la velocità durante il volo. Ciò permette di omologarli quali velivoli radarabili in primario e secondario. In situazioni per cui lo spazio aereo della farm debba essere attraversato, la torre di controllo della regione aerea di pertinenza potrà conoscere esattamente le posizioni dei kite in rotta di collisione e comunicare al centro di gestione di questi ultimi un ordine di allontanamento immediato. Il tempo di rientro dei profili alari è dell’ordine del minuto, pertanto compatibile con qualsiasi situazione di emergenza con preavviso anche di pochi minuti.  La sicurezza della comunicazione di emergenza da torre a centro di gestione farm può essere garantita ridondando i canali di comunicazione utilizzati per veicolarla e dalla presenza di un sistema (ridondato anch’esso) che possa ricevere i segnali di emergenza ed avviare automaticamente la procedura di rientro.

Infine il sistema di gestione della farm potrebbe avere un proprio sistema di rilevazione e risoluzione delle intrusioni nello spazio aereo dell’impianto, basandosi sull’elaborazione di dati radar provenienti da una torre di controllo o da una propria apparecchiatura radar.   La sorveglianza radar potrebbe rilevare e prevenire anche l’impatto dei kite con stormi di uccelli migratori

Navi a vela e Navi-Aquilone

di Antonio  Zecca
Dipartimento di Fisica
Università di Trento    zecca@science.unitn.it

Ci sono scommesse che è facile vincere. Una di queste è che la propulsione a vela tornerà ad essere interessante per la navigazione commerciale.  Impossibile dire quando vedremo un numero di navi a vela e anche prevedere  il dettaglio della nuova tecnologia velica.  Ma si puo’ scommettere che non saranno vele da Coppa America: saranno aquiloni della stessa categoria sviluppata per Kite-Gen.

Guardate alla prima occasione al mare o sui laghi un wind-surf: riescono a viaggiare a velocità superiori a quelle del vento.  Cercate poi di vedere un “kite-surf”: sono molto più rari, ma li avete visti anche in televisione. Il surfista su una tavola come quella dei wind -surf si fa trainare da un aquilone. Il vantaggio degli aquiloni è nel fatto che sfruttano il vento ad alta quota – una cinquantina di metri per i kyte-surf. Vanno più forte dei wind-surf. Il vento è più forte e più costante quando ci si allontana dalla superficie. Un aquilone di grandi dimensioni potrebbe prendere il vento a cinquecento o mille metri di quota. Potrebbe contribuire in maniera significativa alla propulsione di una nave. Anche tenendo conto del fatto che il vento non soffia sempre nelle direzioni in cui vuoi andare, un aquilone potrebbe ridurre i consumi di trenta o forse più percento mediando  sulla rotta di andata e ritorno.
Le compagnie aeree – su molte rotte – cercano di sfruttare le correnti a getto per ridurre i consumi. Tra dieci o venti anni è probabile che anche le rotte delle navi verranno decise dopo aver studiato correnti marine e percorsi delle perturbazioni atmosferiche: i dati raccolti dai nostri sistemi di monitoraggio del clima serviranno anche a questo. Da subito però sarebbe possibile sfruttare i venti con aquiloni del tipo Kite-Gen.  La cosa è già stata fatta in via sperimentale. Già nel 2008 una nave (MS Beluga Skysails ) ha fatto qualche viaggio di prova con un piccolo aquilone (160 m2) che poteva trainare la nave e aiutare la motorizzazione convenzionale. Era un aquilone di modeste dimensioni, poco più grande di quelli utilizzati per il parapendio. La ditta che li produce annunciava una riduzione del consumo di combustibile del quindici per cento.  E’ opinione di chi scrive che la motonave Beluga abbia raggiunto questo obiettivo solo raramente. Ma quello era solo un esperimento pilota: molto di più e molto meglio si può fare con una adeguata quantità di ricerca e sviluppo.  Andatevi a vedere le foto della MS Beluga e basteranno quelle per capire che il tentativo è stato fatto nella maniera più primitiva possibile. Non a caso l’azienda Skysails, secondo alcune notizie riportate dalla stampa tedesca sarebbe in difficoltà economiche.
Sviluppare le tecnologie per una Kyte-Ship o nave-aquilone, se preferite, non è una passeggiata. Diciamo che è una impresa circa dello stesso ordine di grandezza (direi meno) dello sviluppare una Ferrari. Difficile ma non impossibile, neanche per l’ Italia.
I problemi tecnici appartengono a tre categorie. La prima è l’ accoppiamento aerodinamica – idrodinamica: non semplice, ma risolubile.  La seconda categoria è nelle operazioni di lancio e di recupero dell’ aquilone; in questo la Kite-Gen ha già tutto il know how. La terza categoria riguarda la gestione computerizzata dell’ aquilone e anche su questo Kite-Gen ha già il know how e le competenze – come dimostra il progetto europeo KitVes condotto da Sequoia Automation, la società che sta sviluppando il KiteGen.  In questo progetto l’obbiettivo non è la trazione meccanica bensì produrre energia elettrica a bordo sfruttando i venti d’alta quota.  Ciò è interessante in quanto l’energia elettrica può alimentare sia le varie utenze a bordo che la trazione, essendo elettrici i motori di molte grandi navi (di norma vengono alimentati dall’energia elettrica prodotta da grandi motori navali a olio combustibile). La disponibilità di energia elettrica a bordo è importante anche per ridurre i costi dovuti al rispetto delle norme ambientali che impongono lo spegnimento dei gruppi motogeneratori durante la sosta delle navi in porto.  Per evitare questo inquinamento nei grandi porti si ricorre alla elettrificazione delle banchine; richiede bollette salate per i navigli attraccati.
Cosa manca? Manca un minimo di lungimiranza da parte della nostra classe imprenditrice e politica. Non è una questione di soldi: qualsiasi investimento si ripagherebbe abbondantemente e in tempi brevi. La crisi economica entra nel discorso ma in termine positivo: una delle azioni per uscire dalla crisi economica consisterà nello sviluppare tecnologie nuove e venderle in tutto il mondo.
Le difficoltà che ha incontrato Kite-Gen (un’ altra impresa che dovrebbe essere sostenuta senza ritardi) non ci fanno coraggio. Ma se non ci muoveremo subito, entro qualche anno dovremo comprare navi-aquilone dai cinesi.

Decollare, volare e tornare in sicurezza

La foto mostra il kite in volo, potrebbe essere molto piccolo oppure molto lontano?

Per visualizzare il filmato può essere necessario installare il player Quicktime

Sono certo che questo post è esattamente ciò che volevate leggere sul nostro blog.  Da alcune settimane  sono iniziati i test di decollo automatico e sono stati collezionati numerosi successi tecnici.  In una delle prove, in particolare, Mercoledì 15/02 il decollo è avvenuto con appena 1,5 m/s di vento a terra (link video in versione mov).

Lo Stem ha eseguito correttamente le previste procedure di brandeggio per il decollo automatico consentendo al kite di prendere il volo grazie al vento apparente generatosi (senza necessità di venti artificiali menzionati nella documentazione su questo sito) e srotolando interamente il cavo di 300 m.

Sappiamo che il vento medio europeo è intorno ai 3 m/s quindi questo eccezionale risultato stabilisce che il KiteGen ha la libertà di decollare in qualsiasi momento e senza ausili per almeno 5000 ore annue.

Il programma di test evolverà per consolidare il risultato e per poi verificare le durate di volo continuo, con la ambizione sempre più realistica di poter arrivare a coprire tutte le 8760 ore annue anche se non sempre raggiungendo la piena potenza nominale, nella produzione elettrica.

L’altro risultato evidente è che quantomeno la versione beta del software di controllo è pronta, un milestone importante comunque raggiunto nei tempi preventivati, che lascia prevedere che ora la strada sarà in discesa.

Una immagine del sito sepolto dalla neve

ancora neve, tanta

Ecco visibile la dimensione della vela al suo ritorno a terra.

Questa immagine mostra i tamburi con solo più qualche decina di spire di fune residue

Così dopo gli sviluppi tecnologici relativi alle manovre di decollo automatico, ai movimenti dello stelo, ai sensori, ai collegamenti radio tra kite e terra ed a molti altri aspetti “nascosti” ma ciascuno fondamentale come i singoli anelli di una catena, ora è possibile mostrare l’aspetto più visibile, anche senza dover esaminare o entrare nel dettaglio delle immense quantità di software, elettronica, sensoristica, aerodinamica,  meccanica e ragionamenti che lo rendono possibile.

Il prototipo di ricerca KSU1 (detto anche mobilgen) volava, manovrava e produceva energia già nel settembre 2006 (link video), esso ha permesso di compilare una nutrita lista di funzionalità necessarie e desiderabili da aggiungere e implementare nella macchina industriale,  definendo così un’architettura tecnologica adeguata, che potesse permettere decolli automatici, gestire le intemperanze del vento e ridurre l’usura delle parti meccaniche, dei cavi e delle vele. Queste specifiche sono state pensate e progettate poi implementate e testate compiutamente sul campo grazie all’impianto completo KiteGen Stem.

Questa in poche parole la ragione della percezione dei lunghi sviluppi prima dei decolli e dei voli di questi giorni e dispiace sinceramente aver appreso di critiche come “il team kitegen è fermo perchè non vola”.

Il volo è certamente l’aspetto più visibile ed immaginifico (fin dalla mitologia greca ed anche prima) ma non l’unico di questa impresa:

Industrializzare un prototipo che possa sfruttare i venti di alta quota.

Buon volo KiteGen!

Il ciclo dell’energia in atmosfera e la disponibilità di energia dal vento

Il Sole irradia sulla terra una potenza media di 1370 W/mq, tale valore è chiamato Costante Solare. Il mezzo attraverso il quale il nostro pianeta riceve l’energia è l’atmosfera, uno strato di gas spesso alcune decine di km. Tenendo conto che la radiazione della costante solare è riferita ad un piano tangente alla superficie sferica terrestre (che misura 510 milioni di km quadrati) si può assumere che la potenza entrante nell’atmosfera è di 350 W/mq (1/4 circa) ovvero 178500 TW su tutta la superficie terrestre.   Considerando che la potenza media richiesta da tutte le utenze terrestri è di circa 16 TW (12 GTOE/Anno – Fonte IEA 2011) si vede bene come la radiazione solare sia ben oltre 10000 volte il fabbisogno umano attuale.  Una frazione del 30% di tale radiazione è immediatamente riflessa dall’atmosfera e reinviata nello spazio.  Dei circa 230 W/mq rimanenti gran parte viene trasformata in calore ed il resto è coinvolto in processi di evaporazione. Una parte si trasforma in energia meccanica (venti). Infine, per mantenere l’equilibrio energetico, il pianeta reirradia tutto verso lo spazio. Le tecnologie per lo sfruttamento dell’energia solare utilizzano la radiazione sia diretta che diffusa (solare fotovoltaico) oppure l’energia meccanica dei venti.
Per fissare le idee sulle potenzialità dei venti si esamini la figura qui riportata, tratta da G.Parolini – Considerazioni sui principali elementi che determinano l’ambiente sulla superficie della terra – Sistema, Roma, 1967. La media terrestre di 230 W/mq equivale a 230 Wh * 24 * 365 = 2 MWh /anno per metro quadro di energia teoricamente disponibile.
Sempre con riferimento alla figura si nota che una piccola parte della radiazione solare, 2W/mq è costantemente trasformata in energia cinetica ovvero vento e, essendo un regime stazionario, costantemente dissipata in calore mediante attriti contro la superficie terrestre e tra particelle di aria.  Un semplice calcolo consente di valutare a livello globale in 1020 TW tale dissipazione, anche questa è una quantità molto superiore ai 16 TW che ci sono necessari.  Inoltre la riserva di energia meccanica, cioè l’energia cinetica di tutte le particelle di atmosfera mosse dai venti (140 wh/mq) è superiore ai 70.000 TWh, circa 6 mesi di consumi energetici planetari ed è continuamente disponibile.  Da tale giacimento è estratta l’energia eolica. La tecnologia delle torri eoliche o windmill non consente di accedere che ad una piccola percentuale di questa energia, quella che si trova nei primi 2-300 metri dal suolo.  L’eolico troposferico, o di alta quota, di cui il KiteGen è il più avanzato progetto in fase di industrializzazione, si propone, salendo fino a quote di 2000 metri ed oltre, di accedere a frazioni sempre più consistenti di questa immensa quantità di nobile energia meccanica (nobile perchè trasformabile in energia elettrica con alte rese)
Ho volutamente tratto lo schema da un testo abbastanza datato, uno dei meno generosi nella stima della frazione di potenza solare che alimenta i venti e dei più conservativi nella stima dell’energia cinetica stazionaria dell’atmosfera per mostrare che anche le stime meno generose rivelano un potenziale energetico immenso.   Esistono studi più accurati che ci permettono di considerare valori ancora più grandi, fino a 3600 TW di potenza dissipata totalmente dai venti atmosferici (Gustavson 1979).  Fin dal 1939 Brunt aveva stimato 100.000 TWh di energia cinetica totale.  Le iniziative concrete sull’eolico troposferico sono relativamente recenti, l’interesse scientifico sull’argomento sta crescendo ed il numero di articoli e studi cresce, ma con esso cresce anche l’interesse economico che può influenzare  in positivo o in negativo le varie stime; è quindi importante considerare anche studi fatti quando ancora non si pensava concretamente a realizzare impianti eolici troposferici.

NASA Langley Research Center e KiteGen

kitegen on NASA video
NASA LaRC Airborne Wind Energy Harvesting

Nasa on You Tube

Scritto da Massimo Ippolito e Andrea Papini

Mark Moore e David North del Nasa Langley Research Center mostrano come stanno ripercorrendo le varie soluzioni architetturali per implementare l’eolico troposferico.

David North inoltre annuncia di voler sperimentare la soluzione mono-fune con gli attuatori di assetto a bordo ala.

Benchè il Carosello ed in una certa misura lo Stem siano architetture indifferenti al numero di funi, cogliamo l’occasione per ricordare le ragioni che ci hanno portato KiteGen a concentrarsi su un sistema basato su due funi.

1) la sicurezza dei sistemi doppi.

Un sistema a doppio cavo ha un fattore di sicurezza estremamente più elevato di un sistema a cavo singolo, e permette in qualsiasi condizione un rientro veloce dell’ala.

I doppi moto-alternatori e tamburi si dividono il carico quindi sono circa la metà come dimensionamento e sono più maneggevoli e disponibili sul mercato

2) L’opportunità di implementare con le due funi la scivolata d’ala con ali concepite per un volo bimodale.

Con un cavo singolo  la discesa deve avvenire necessariamente  variando l’angolo di attacco dell’ala e portandosi possibilmente sul bordo della finestra di potenza del vento, strategie già percorse da KiteGen nel 2006 anche con i due cavi.

il recupero della fune crea vento apparente che restituisce portanza all’ala rallentando molto la manovra di rientro, con anche l’effetto indesiderato di dover fornire potenza ai tamburi per il riavvolgimento, mentre con le due funi abbiamo dimostrato di poter mettere l’ala in bandiera minimizzazndo tempi di ciclo e gli autoconsumi di energia.

3) La velocità di attuazione da remoto

Il controllo con un’ala molto distante mediante i cavi  non soffre di ritardi apprezzabili, la forza sui cavi, e quindi anche i comandi, si muovono alla velocità del suono nel : “Dyneema® SK75, con E = 107 GPa , ρ = 0.97 kg/dm3 si ricava = 10.502 m/s”, ovvero circa 30 volte la velocità del suono in aria
Esso costituisce un ritardo di attuazione trascurabile che permette di escludere che vi sia un vantaggio ad attuare in prossimità dell’ala.

4) Resistenza aerodinamica delle funi in volo

A parità di resistenza alla trazione totale, le due funi presentano una resistenza aerodinamica nel volo che è maggiore di radice 2 rispetto ad un sistema a singola fune. Ma le funi  possono facilmente essere rese aerodinamicamente inifluenti (brevetto KiteGen), in modo da escludere il drag tra i criteri di scelta delle stesse.

5) Avvolgimento su se stessi dei cavi, twist dei cavi

Il contatore di twist comandato dalla strumentazione di bordo ala funziona molto bene e sebbene il sistema funzioni ancora con 10 twist, il controllo può passare brevemente da i lemniscati agli ellissi per ripristinare l’allineamento corretto.

6) Forze per  l’attuazione della direzione di volo dell’ala

Fino a quando si tratta di dimostratori da poche decine di kW l’attuazione a bordo ala può essere alimentata da accumulatori o da sistemi di generazione ausiliari. Quando invece si raggiungono i MW le attuazioni diventano impegnative sia come resistenza, peso ed energia necessaria per alimentarli.

Gli attuatori in volo, è presumibile, che possano solo essere controllati ed alimentati da un cavo elettrico intrecciato all’interno del cavo polimerico di trazione, riaprendo tutte le questioni di peso, costo, interfacciamento e sensibilità alle scariche atmosferiche .

Gli attuatori volanti dovranno poi essere integrati in qualche modo nell’ala per limitare l’effetto drag sia per l’effetto della forza d’inerzia che sbilancia la vela nelle manovre.

Glossario

So che molti nostri lettori sono ansiosi di ricevere informazioni su KiteGen, tuttavia questo post ed altri che pubblicheremo in questi primi giorni hanno l’obbiettivo di inquadrare il tema in una prospettiva più ampia, chiarendo l’uso dei termini tecnici e considerando alcune basilari nozioni che aiutano a comprendere le finalità e le problematiche che affrontiamo nel nostro blog.
In primo luogo qualche definizione:

Kilo: k  1000 migliaia
Mega: M 1000000 milioni
Giga: G 1000000000 miliardi
Tera: T 1000000000000 triliardi

Quindi ad es. 1 GW è un miliardo di Watt

Energia
si misura in Joule (J) e rappresenta la capacità di compiere un lavoro.  Ad esempio un veicolo di massa m che viaggi a velocità v possiede un’energia (cinetica) di 1/2mv2.  Per frenarlo fino a fermarlo l’impianto frenante compirà un lavoro pari all’energia cinetica (che viene dissipata in calore)

Potenza
si misura in Watt (W) cioè Joule/secondo e rappresenta il tasso con cui viene compiuto un lavoro cioè quanta energia viene consumata da un utenza in un secondo. Pertanto è molto utilizzata la misura in Wattora (Wh) che indica un energia in quanto l’ora è composta da 3600 secondi nel prodotto tra J/s e 3600 s la dimensione secondi si semplifica.  In altre parole 1 Wh = 3600 J.  A volte ciò è fonte di confusione tra kW e kWh cioè tra potenza ed energia.  Un esempio per chiarire meglio: un phon da 2000 W (2 kW di potenza) in mezzora consuma 1000 Wh (1 kWh di energia)

Eolico troposferico

E’ la metodologia innovativa per sfruttare il vento a quote non raggiungibili da impianti eolici che sono eretti a terra, si basa sulla considerazione che il vento energeticamente sfruttabile è sensibilmente più frequente ed intenso a quote AGL (dal livello del terreno) che superino i 300metri e che questa progressione di potenza continui incrementandosi senza soluzione di continuità con legge funzione della velocità del vento elevata al cubo, fino a raggiungere la quota tecnicamente sfruttabile dei 9.000 metri, che rappresenta il limite superiore della troposfera.

Quota tecnicamente sfruttabile
E’ la quota raggiungibile dai dispositivi di cattura dell’energia del vento opportunamente dimensionati e controllati, senza soffrire di decadimenti della potenza erogabile e da limitazioni di controllo del volo e predizione delle traiettorie, dove tipicamente la risorsa naturale presenta potenze specifiche di oltre 1.000 volte quelle riscontrate a 50 metri AGL, per poi decadere drasticamente a causa della rarefazione dell’aria.

Quota sfruttabile
E’ la quota di volo limitata da considerazioni di compatibilità con il traffico aereo, da valutazioni di sicurezza al fine di evitare potenze del vento talmente intense da non essere non gestibili in sicurezza dallo specifico macchinario, da valutazioni di prevenzione delle conseguenze di una eventuale anomalia del sistema.

Ali o Vele
Sono dispositivi tecnologici leggeri o ultraleggeri che interagiscono direttamente con la forza e la velocità del vento trasmettendo la potenza meccanica a terra mediante funi, il sostentamento delle ali e vele viene garantito dalla presenza del vento stesso quando possiede una intensità sufficiente alla produzione energetica.

Macchina generatrice
Trattasi dell’insieme dei sistemi a terra per gestire le manovre automatiche dell’ala o vela, inclusi decollo e rientro nonchè il rientro veloce di emergenza e nel contempo provvedere alla trasformazione dell’energia cinetica proveniente dalle funi in energia elettrica mediante servo alternatori a frequenza variabile con erogazione in corrente continua.

Impianto eolico troposferico
o sistema di cattura dell’energia eolica di alta quota
E’ un impianto di produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della energia cinetica del vento troposferico, tramite un sistema principalmente composto da ali o vele che trasferiscono a terra, mediante funi, la forza con una velocità di srotolamento dei tamburi in funzione della velocità del vento, i tamburi sono calettati ad uno o più alternatori, uno o più gruppi di conversione della corrente continua in corrente alternata e altri componenti elettrici minori;

Fattoria del vento troposferico
E’ l’insieme di singoli impianti a singola vela distribuiti su un territorio contiguo facenti parte di una singola installazione, la distanza di installazione tra le macchine appartenenti alla stessa fattoria è compresa tra 80 e 150 metri.

Ciclo di produzione
Trattasi della strategia temporale ed operativa di interazione con il vento come ad esempio la suddivisione in fasi di trazione della vela caratterizzate da un guadagno di quota e allontanamento dalla base generatrice (fase attiva) intercalate da fasi di recupero della vela con perdita di quota per ripristinare il ciclo produttivo (fase passiva), il recupero deve presentare un dispendio di energia pari ad una frazione di circa 1/100 dell’energia prodotta nella fase attiva.

Impianto eolico troposferico su terraferma
E’ un impianto che viene realizzato in un sito terrestre e che viene allacciato alla rete con le linee di distribuzione o di media tensione;

Impianto eolico troposferico in mare
E’ un impianto fattoria del vento troposferico che viene realizzato in acque fino a 20 metri di profondità, che richiede piattaforme sostenute  dal fondo del mare mediante colonne  e plinti e che richiede un allacciamento in corrente continua verso una stazione di conversione a terra;

Impianto eolico troposferico in mare profondo
E’ un impianto fattoria del vento troposferico che viene realizzato in acque oltre i 20 metri di profondità, che è formato da boe galleggianti con dislocamento inferiore ai 100 metri cubi, ancorate con catene o opportuni cavi ad un corpo morto gravitazionale appoggiato sul fondo del mare, richiede allacciamenti collettivi o unificati in corrente continua o alternata sottomarini che raggiungano la terraferma;

Sistema eolico troposferico a Carosello
E’ un impianto di produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della energia cinetica del vento di potenza non inferiore ad 1 GW; esso è composto principalmente da un insieme di macchine di gestione delle vele analoghe al punto f che sono montate su e mettono in rotazione un grande anello generatore, da uno o più gruppi di conversione della corrente continua in corrente alternata e da altri componenti elettrici minori;

Sistema eolico troposferico a Carosello in mare
E’ una evoluzione della macchina al punto g con una opportuna tropicalizzzione delle componenti e un sistema di sostegno a colonne infisse sul fondale.

Sistema eolico troposferico a Carosello in mare profondo
E’ una evoluzione della macchina al punto g con la struttura galleggiante e ancorata al fondo marino mediante catene o opportuni cavi ad una serie di corpi morti gravitazionali giacenti sul fondo marino.

Potenza nominale (o massima, o di picco, o di targa) dell’impianto eolico troposferico
E’ la potenza elettrica dell’impianto, determinata dalla somma delle singole potenze nominali (o massime, o di picco, o di targa) di ciascuna macchina generatrice facente parte del medesimo impianto o fattoria del vento troposferico, misurate alle condizioni nominali;
Piccoli impianti
Sono gli impianti realizzati da una singola macchina generatrice di gestione di una singola vela, che hanno una potenza non superiore a 3.000 kW,

Grande impianto di eolico troposferico
E’ un impianto diverso da quello di cui alla lettera U tipicamente organizzato in fattoria del vento troposferico o in Carosello

FlyGen e GroundGen
Sono i termini riconosciuti internazionazionalmente per distinguere le famiglie concettuali di eolico troposferico o di alta quota che si distinguono per avere gli alternatori ed i trasformatori a bordo dell’ala ed il cavo di vincolo di tipo conduttore elettrico (FlyGen), oppure gli alternatori e il macchinario pesante di controllo a terra con le ali di tipo leggero o ultraleggero con le funi di vincolo in materiali polimerici ad alto modulo ed isolanti caratterizzati da un ciclo produttivo a yoyo.

AWE (Airborne Wind Equipments)
Termine internazionalmente adottato come tentativo di individuare il settore emergente.

Pumping Kite & yoyo
Termini adottati in letteratura per descrivere il ciclo produttivo dei GroundGen

Parte kiteblog il nuovo blog di KiteGen

Cari amici,
Con questo articolo si da avvio, a grande richiesta, ad un nuovo “canale interattivo” grazie al quale saranno disponibili notizie ufficiali aggiornate, segnalazione di eventi ed articoli tecnici riguardanti la tecnologia Kite Gen ed i molti aspetti ad essa correlati.  Ospiteremo pertanto anche contributi e spunti di riflessione su tutte le tematiche riguardanti energia, risorse, demografia e sistemi economici sperando di stimolare discussioni e commenti.  Ciò che ci proponiamo non è solamente soddisfare la diffusa domanda di notizie intorno allo sviluppo della tecnologia Kite Gen, ma anche mostrare che lo sfruttamento dell’immenso giacimento di energia eolica presente in alta quota, di cui Kite Gen è la più avanzata tecnologia abilitante, è l’ultima soluzione che ci rimane per evitare che l’avvitamento della crisi finanziaria con quella delle risorse, in particolare energetiche, continuino a precipitarci verso stati del sistema economico globale  che non ammettono il livello di benessere medio raggiunto dall’umanità grazie all’abbondante utilizzo dei combustibili fossili per una popolazione mondiale in continua crescita.  Se tutto ciò per ora potrebbe sembrare vago continuate a seguirci, perchè nei prossimi articoli porteremo avanti numerosi approfondimenti.  Ogni articolo avrà una o più categorie per seguire agevolmente gli argomenti di interesse.  Ecco alcune delle categorie e… buona lettura.

  • Pillole di KiteGen: brevi articoli che soddisferanno le curiosità su numerosi aspetti della tecnologia Kite Gen e delle sue applicazioni.
  • Approfondimenti: articoli di approfondimento tecnico sulle tematiche riguardanti il Kite Gen e numerosi argomenti correlati.
  • Notizie: Comunicazioni ufficiali di KiteGen Resarch
  • Storie: aneddoti, brevi racconti, interviste riguardanti Kite Gen
  • Panorama Theme by Themocracy